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di Manuela Salvago
La dimensione temporale nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte Costituzionale
Le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e n. 349, depositate il 24 ottobre 2007 traggono origine da due ordinanze di rinvio della Corte di Cassazione con le quali era stata posta in dubbio la legittimità costituzionale dei criteri di stima dell’indennizzo, dovuto per il disposto del terzo comma dell’art. 42 Cost., in caso di espropriazione per pubblica utilità di suoli aventi destinazione edificatoria. Infatti, il giudice di legittimità riteneva eccessivamente riduttivi i criteri introdotti, dapprima in forza dei commi 1 e 2 dell’art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 1992, n. 359, nelle ipotesi di espropriazione legittima (conseguita cioè tramite decreto ablativo o contratto di cessione volontaria); successivamente dal comma 7-bis dell’art. 5-bis della stessa legge, aggiunto dall’art. 3, comma 65, della l. 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) anche per il risarcimento del danno dovuto al proprietario del bene in caso di occupazione illegittima avente effetti c.d. espropriativi o acquisitivi.
La disciplina de qua, giustificata dal momento di congiuntura economica particolarmente sfavorevole per il Paese, si era notevolmente discostata dall’originario criterio di stima commisurato al valore venale del bene (corrispondente al suo prezzo di mercato all’epoca della vicenda ablativa), ed era applicabile, per espressa disposizione del comma 6, anche ai giudizi in corso «non definiti con sentenza passata in giudicato». Infine, nonostante la sua natura “temporanea”, la normativa in questione era stata recepita nel Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (rispettivamente, artt. 37 e 55), divenendo perciò definitiva.
Successivamente, la Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a verificare la compatibilità della su citata disciplina con le norme della Convenzione, l’aveva dichiarata in contrasto con i precetti posti in materia di diritto di proprietà dall’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla CEDU: non soltanto per quanto riguarda il risarcimento del danno da occupazioni illegittime, ma anche con riferimento all’indennità di esproprio.
Da ultimo, lo Stato italiano aveva chiesto il giudizio della “Grande Chambre” della Corte europea che, con decisione del 29 marzo 2006 (sentenza Scordino), aveva confermato l’incompatibilità di detta normativa con l’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla CEDU. Essa, infatti, era stata ritenuta inidonea a compensare l’ingerenza da parte della pubblica amministrazione nella proprietà privata e, comunque, ad offrire al diritto dominicale una tutela equivalente a quella prevista dalla CEDU.
(segue)
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