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NUMERO 1 - 12/01/2011

 A proposito di (impossibili?) discipline legislative regionali adottate in sostituzione di discipline statali mancanti (nota a Corte cost. n. 373 del 2010)

Di non poco interesse appare essere la pronunzia qui succintamente annotata, sotto più aspetti, il più rilevante dei quali attiene al modo complessivo con cui è inteso, nelle pratiche di giustizia costituzionale, il controverso e spinoso rapporto tra unità ed autonomia.
In breve, la Corte censura un intervento regionale riguardante i rifiuti, riportato alla tutela dell’ambiente, “materia” di esclusiva spettanza dello Stato. Una censura che non viene meno per il fatto della mancanza di una disciplina statale, in sostituzione (ed in attesa) della quale si giustifica la posizione della disciplina regionale. La Corte fa appello al suo consolidato orientamento secondo cui l’esclusività della competenza statale non si oppone all’adozione di norme regionali volte ad innalzare il livello standard di tutela fissato dallo Stato (alle pronunzie degli anni 2008 e 2009 espressamente richiamate potrebbero invero aggiungersene molte altre, tra le quali, e più di recente, le decisioni nn. 67, 101 e 315 del 2010), precisando che, in tal caso, non già di una “tutela” è appropriato discorrere, essendo essa appunto rimessa alla sola disciplina statale, bensì di una regolamentazione degli oggetti “riconducibili alle competenze delle Regioni stesse”: “si tratta cioè di un potere insito nelle stesse attribuzioni di queste ultime, al fine della loro esplicazione”.
Queste affermazioni insegnano molte cose.
Innanzi tutto, che la nozione di “tutela” va – a quanto pare – circoscritta alla sola definizione di una soglia minima o essenziale di salvaguardia del bene-ambiente (la cui rispondenza a modello la Corte, in ultima istanza, si riserva di verificare di volta in volta, a conti fatti secondo ragionevolezza); tutto ciò che poi si pone oltre o sopra di essa non sarebbe più “tutela” stricto sensu, pur laddove ricada nel medesimo ambito materiale (in senso oggettivo). In altri termini, l’innalzamento del livello di “tutela” non sarebbe più… tutela (ma cos’è, dunque?).
In secondo luogo, l’intervento regionale nella “materia” sua propria (il “di più” rispetto al livello fissato dallo Stato) presuppone – in questa peculiarissima “materia” –, di tutta evidenza, il previo intervento statale (non si può portare più in alto ciò che… non c’è), neppure – par di capire – laddove siano in gioco interessi pressanti o beni costituzionalmente meritevoli e bisognosi di protezione, in nome dei quali il riparto costituzionale delle competenze potrebbe non di rado trovarsi obbligato a recedere.
Il punto è di grande rilievo. Ancora assai di recente, la Corte ha ritenuto di poter (e dover) far luogo a complesse operazioni di “bilanciamento” tra il riparto in parola e la salvaguardia di diritti (o, più largamente, interessi) riconosciuti in Costituzione, un bilanciamento che poi, nei fatti, si è rivelato… sbilanciato, essendosi data la preferenza ai diritti (e, in ultima istanza, alla dignità della persona umana) rispetto alle competenze... (segue)



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