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di Andrea Vannucci
Caos Libia. Uno spunto per una riflessione sul ruolo delle diplomazie nazionali tra Consiglio di Sicurezza e Consiglio europeo
La rivolta popolare iniziata in Libia lo scorso 17 febbraio nei principali centri della Cirenaica si è presto trasformata in una guerra civile, in uno scontro aperto tra i manifestanti e le forze di polizia fedeli alla Jamahiriyya di Muammar Gheddafi. Il Raìs, salito al potere il primo settembre 1969 in seguito a un golpe che mise fine alla monarchia di re Idris, a differenza dell’ex Presidente della Tunisia, Zine El-Abidine Ben Ali, e dell’ex Presidente dell’Egitto, Hosni Mubarak, ha adottato una strategia di risposta alle istanze provenienti dalla piazza molto più radicale. Se Ben Ali e Mubarak, dopo una iniziale resistenza che ha comunque causato centinaia di morti, hanno finito per cedere la mano, rispettivamente a un governo transitorio e al Consiglio supremo delle Forze armate, Gheddafi ha scelto invece la via della repressione degli oppositori e della riconquista del territorio perduto manu militari. La Libia si è quindi spaccata in due zone controllate una dalle forze lealiste, corrispondente indicativamente alla Tripolitania, e una dagli insorti, la Cirenaica. Il Fezzan è rimasto invece abbastanza al di fuori della contesa.
La comunità internazionale è stata la prima a essere colta di sorpresa dal precipitare degli eventi: le contromisure proposte e infine adottate sono state considerate dall’opinione pubblica occidentale come tardive e inefficaci, almeno in un primo momento... (segue)
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