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NUMERO 4 - 19/02/2014

 L’iniziativa popolare svizzera “contro l’immigrazione di massa”. Qualche considerazione non del tutto “a caldo”

I media italiani si occupano poco (troppo poco, aggiungerei) di ciò che accade nel piccolo e florido paese alpino. Siamo abituati a chiamare “cugini” i francesi, che parlano una lingua diversa dalla nostra, e ci dimentichiamo di avere dei parenti più stretti in Ticino, dove si parla la nostra stessa lingua. Anzi, per meglio dire, la Svizzera è l’unico paese al mondo, oltre all’Italia, dove l’italiano è lingua ufficiale. Ci si occupa della Svizzera solo quando lì succede qualcosa di clamoroso, soprattutto se si tratta di un evento che mette in cattiva luce l’immagine, perlopiù stereotipata, che all’estero abbiamo della Svizzera e degli svizzeri. E a proposito di cattiva luce, la memoria corre al blackout elettrico che il 28 settembre 2003 lasciò al buio l’intero nostro paese (con eccezione della Sardegna) per cause in parte imputabili ad un nostro fornitore; la Svizzera, appunto. Lo schema vale anche per le vicende istituzionali della Svizzera. Si parla della politica svizzera solo quando accade qualcosa che esce dagli stereotipi cui siamo, ahimè, abituati, come una votazione popolare che introduce in Costituzione il divieto di costruire Minareti, oppure una che introduce l’obbligo per le autorità di fissare un tetto ai flussi migratori, cosa che è avvenuta, per l’appunto, il 9 febbraio scorso... (segue)



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