Una prima considerazione relativa alla riforma costituzionale presentata dal Governo Renzi riguarda la procedura che si intende perseguire, ovvero la via maestra dell’art. 138 della Costituzione anziché la strada del procedimento eccezionale e derogatorio. Sembrerebbe, a prima vista, una via obbligata: ma la storia degli ultimi anni induce a non ritenerla tale. Personalmente ritengo questo un punto positivo e meritorio della proposta, che forse chiude (non si sa quanto definitivamente) la stagione delle “grandi riforme” (tentate e mai realizzate) e della connessa idea che per cambiare la Costituzione sia necessario – prima di tutto – uno “sbrego” alla stessa (secondo la definizione coniata da Miglio e ripresa da Cossiga). Idea che ha condotto all’approvazione di due leggi costituzionali (la n. 1/1993 e la n. 1/1997), ed alla recente presentazione di un disegno di legge costituzionale (A.S. 813) ad opera del governo Letta, in forza del quale era stata promessa (o minacciata?) una complessiva riforma costituzionale “in diciotto mesi”: disegno di legge che, sebbene già approvato dalle due Camere per ben tre volte, si può supporre finirà i propri giorni nei capienti cassetti di Montecitorio. La scelta del Governo Renzi di superare l’idea che per modificare la Costituzione si debba innanzitutto modificare le regole procedurali, e sia necessario al contrario seguire la strada della revisione costituzionale indicata dall’art. 138, va nella direzione di confermare la validità del testo costituzionale del 1948 anche nella parte che essa indica per la sua revisione... (segue)
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