Il superamento del bicameralismo simmetrico o eguale (certo non perfetto) italiano è una necessità della quale v’è da tempo diffusa consapevolezza nella cultura giuridica e istituzionale, consapevolezza che si è manifestata, negli anni, in una ricca riflessione scientifica e in una imponente mole di proposte. Non avere corrisposto per tempo all’esigenza di riforma che ne derivava e che veniva resa evidente – provocando, o almeno non contrastando, il declino del Parlamento, e conducendo all’intollerabile disfunzione della forma di governo – ascrive una responsabilità non cancellabile ai decisori politici, a tutti i decisori politici, di ogni orientamento, specie a partire dalla grande crisi di sistema dei primi anni Novanta del secolo scorso. Una responsabilità non occultabile, tanto meno attribuendone il peso alla immaginaria potenza conservatrice di un non ben identificato ceto di «professori». Invero, un ceto siffatto non esiste, poiché i «professori» – e segnatamente tra essi i costituzionalisti – sono una somma di individualità irriducibili, capaci bensì di pensiero critico, il loro unico patrimonio e la loro unica arma, ma non di farsi attori, tanto pericolosi come si dice, di influenti politiche istituzionali (i «professori» sono individualità distinte e mobili anche quando si aggregano provvisoriamente per firmare appelli, genere letterario che, per vero, sarebbe consigliabile non frequentare). Salvo che i «professori» non si facciano essi stessi decisori, assurgendo alle sedi della rappresentanza, come è possibile e legittimo: ma allora trasmutano di funzione, di mentalità, di status... (segue)
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