Il continente africano è quello dove maggiormente sono concentrate le attività delle Nazioni Unite sia di peace-keeping, per il mantenimento della pace, sia di peace-building, per la ricostruzione di Paesi in situazioni post-conflittuali. Basti pensare che su sedici operazioni di peace-keeping attualmente dirette dal Department of peacekeeping operation (DPKO), nove sono state create in Africa, destinando ad esse più del settanta per cento del budget totale approvato per il periodo dal luglio 2104 al giugno 2015. Similarmente, sei delle undici missioni di peace-building in essere operano nel continente africano. A ciò si deve aggiungere il lavoro svolto dalla Peacebuilding Commission (PBC), che al momento è attiva esclusivamente in Africa. I sei Paesi inseriti nella sua agenda dal momento della sua istituzione ad oggi, infatti, sono tutti Stati africani. Appare, quindi, ovvio che il continente africano rappresenta il principale contesto da dover analizzare per poter svolgere alcune riflessioni sulla prassi del Consiglio di sicurezza in tema di operazioni per il mantenimento della pace. Tuttavia, nonostante un impegno di simili proporzioni, i risultati ottenuti non sono stati sempre adeguati. Al contrario, ultimamente in diversi Paesi in cui sono presenti missioni di pace si è registrato un peggioramento della situazione. Per tale motivo, sembra necessario un approfondimento sul sistema di governance che il Consiglio di sicurezza ha adottato in queste circostanze, in modo da trarre alcune considerazioni critiche sia sotto un profilo giuridico sia in merito alle decisioni strategiche adottate. Nello specifico, detta analisi prenderà come casi di studio tre situazioni, in Mali, Sud Sudan e Libia, che il Consiglio di sicurezza, seguendo degli approcci strategici differenti, sta di recente affrontando e che presentano diversi elementi d’interesse. Occorre subito precisare che la missione istituita in Libia, oltre ad avere una composizione molto ridotta, differisce dalle altre due sotto il profilo della stessa tipologia di appartenenza. Questa è, infatti, una missione di sostegno inquadrabile nel novero delle Political missions. Tuttavia, date le analogie presenti in quanto a finalità perseguite è utile prenderla in esame congiuntamente alle altre. Il caso libico, come emergerà in seguito, rappresenta, infatti, il modello paradigmatico dell’approccio alle crisi adottato in Africa dalle Nazioni Unite, nel quale si assume come priorità la democratizzazione dei Paesi senza tener conto dello specifico contesto di riferimento. Tornando alla struttura delle missioni, nelle altre due circostanze il Consiglio di sicurezza le ha create seguendo un’interpretazione particolarmente estensiva del c.d. approccio multidimensionale, nel quale l’intervento delle Nazioni Unite risulta sempre più articolato e incisivo, teso a gestire direttamente le situazioni di crisi dovute alla presenza di conflitti interni. La loro particolarità, oltre a quella della fusione della componente di “mantenimento” con quella di “costruzione”, tipica delle missioni multidimensionali, è rappresentata sia dal contesto in cui agiscono sia dai compiti che svolgono. Per quanto concerne il primo aspetto, si deve evidenziare che sempre più spesso sono dispiegate in contesti caratterizzati da un acceso conflitto interno, nel quale sono presenti una pluralità di movimenti armati, molti dei quali ritenuti di natura terroristica. In tali situazioni, le missioni delle Nazioni Unite hanno ricoperto un ruolo sempre più importante nell’ambito del mantenimento della sicurezza e della protezione dei civili, che ha reso necessario un ampliamento della presenza militare e di polizia. Relativamente, invece, alle funzioni di “costruzione” della pace, le recenti operazioni di pace in Africa sono caratterizzate da un mandato molto ampio ed ambizioso anche in termini di funzioni politiche e di institution-building, perseguendo principalmente l’obiettivo di creare le condizioni necessarie per l’istituzione di Stati democratici. La democracy-building è, infatti, uno dei pilastri del Consiglio di sicurezza nella sua più recente, e per molti aspetti innovativa, attività digovernance delle situazioni conflittuali e post-conflittuali nel continente africano. La transizione verso forme di governo democratiche, tuttavia, è un processo che, soprattutto in contesti post-conflittuali, non dovrebbe essere programmato nel breve periodo e non può considerarsi soddisfatto a seguito della semplice organizzazione di elezioni politiche o amministrative. A questo fine, sarebbe, invece, opportuna una programmazione di lungo periodo che segua una serie di steps necessari per avviare un processo inclusivo e partecipato, che tenga conto delle peculiarità dei contesti in cui si agisce. Nei casi in esame, al contrario di quanto appena osservato, sembra che il Consiglio di sicurezza abbia adottato un modus operandi standardizzato, che non ha probabilmente tenuto debitamente in conto le specifiche situazioni di ciascun Paese. Di conseguenza, il risultato ottenuto non può considerarsi pienamente soddisfacente sia in termini di crisis management sia di conflict prevention, intendendo quest’ultima anche come la capacità di supportare la ricostruzione degli Stati nei quali è da poco cessata la situazione di conflitto, al fine di evitare nuove ostilità. Nel contesto descritto, come emergerà dai casi di studio analizzati, il peggioramento della situazione all’interno del Paese ha costretto il Consiglio a modificare il mandato delle missioni di pace già dispiegate, rimodulando la precedentecomprehensive strategy a favore di azioni mirate che, attraverso un incremento della presenza militare, hanno funzioni principalmente nell’ambito della sicurezza e della protezione della popolazione. L’analisi della recente prassi delle operazioni di pace nel continente africano può, quindi, rappresentare un interessante spunto di riflessione per svolgere alcune considerazioni sull’attività dell’ONU per il mantenimento della pace e sull’eventuale necessità di modificare la sua azione in questo settore. A tal fine, occorre preliminarmente svolgere una breve ricostruzione dell’evoluzione della disciplina, soffermandoci, in particolar modo, sull’evoluzione del concetto di operazioni di pace multidimensionali, in modo da poter, successivamente, prendere in esame la loro applicazione nei casi specifici del Mali, del Sud Sudan e della Libia... (segue)
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