La querelle tra diritto all’informazione (o alla conoscenza) e diritto alla riservatezza (o all’oblio) ha catturato l’attenzione degli studiosi i quali hanno individuato tutte le possibili implicazioni della relazione da un punto di vista sociologico, filosofico, politologico e giuridico. La diversità di approccio rispecchia i differenti punti di vista e le soluzioni, a volte antitetiche, testimoniano la oggettiva difficoltà di “risoluzione del conflitto (…) e dunque l’individuazione di un equilibrio accettabile tra i due termini (del binomio)” ovvero, per quanto qui importa, tra la libertà di informazione e di espressione attraverso la rete e la tutela della riservatezza che troppo spesso viene ad essere sacrificata in nome di un non meglio identificato diritto alla conoscenza che esula dai confini nazionali. La problematica appena accennata involge l’annosa questione della tutela dei diritti fondamentali e delle libertà nell’era della globalizzazione che può essere <>. In questa seconda accezione, il diritto alla riservatezza nell’elaborazione della CEDU e della Corte di Giustizia assurge alla categoria dei diritti sociali, al pari del diritto di accesso ad Internet sollecitando una riflessione sui connessi profili della tutela, a livello nazionale ed europeo, volta all’implementazione delle garanzie, come si auspica, sulla base del“la reciproca integrazione e del reciproco condizionamento”. L’attenzione è riposta “sempre su diritti (o valori) fondamentali, che tali sono o direttamente in base alla Costituzione delle Repubblica o in base alle Carte nelle quali l’Italia si riconosce (ma che, tuttavia, vengono sistematicamente) ora marginalizzati, ora contestati, ora negati nelle possibilità di esercizio o addirittura nella stessa titolarità”. Ciò nella consapevolezza che i diritti che qui vengono in rilievo non sono né assoluti né incondizionati, ricorrendo invece la necessità di operare un equo bilanciamento tra “il diritto fondamentale di accesso a Internet (cui si è poc’anzi accennato e) “i diritti senza legge, (quali) il diritto all’oblio in Internet e (i)l recente caso Google Spain” su cui diversamente opinando si abbatterebbero le conseguenze dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici della Rete. In proposito, si è osservato che “Internet ha fondamentalmente intaccato il sostanziale monopolio delle tradizionali fonti d’informazione, e ciò in senso bidirezionale, potendo il grande pubblico raccogliere direttamente le informazioni, e i produttori di queste (protagonisti della politica e dell’economia, formazioni sociali e tutti i portatori di interessi anche debolmente rappresentati) comunicare direttamente col pubblico medesimo”. Tale osservazione induce da un lato a una ulteriore preliminare considerazione sul modo in cui concretamente si atteggia diritto all’accesso in Internet nella moderna “società della conoscenza”, locuzione con la quale autorevole dottrina identifica “uno spazio sociale dilatato, senza precedenti nella storia dell’umanità, creato da internet, identificato con la rete, dove si mescolano soggetti e fenomeni diversi, dove i ruoli possono cambiare vorticosamente e molti interessi trovarsi in conflitto”; dall’altro svela quella che potremmo considerare la più evidente ambiguità e contraddizione del sistema nel quale si scontrano due tendenze opposte, la ricerca della privacy da un lato, che è l’obiettivo dei provvedimenti e delle iniziative più recenti finalizzati all’armonizzazione (della disciplina e delle esigenze) ed alla implementazione dei controlli, ed il bisogno sempre crescente di immagazzinare in Rete i propri dati, di condividere con altri utenti i contenuti, pur in assenza della consapevolezza dei rischi connessi alla circolazione, all’utilizzazione ed alla permanenza degli stessi in Rete da cui possa derivare direttamente o indirettamente un danno al titolare. In tal caso, il diritto alla conoscenza si traduce in un fattore di rischio per altri diritti sociali fondamentali. Ciò è ancora più evidente alla luce delle recenti vicende da cui è scaturito il riconoscimento del diritto all’oblio nella sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014 u.s. che se da un lato ha avuto l’indiscutibile merito di attribuire rilevanza giuridica al diritto in questione, tuttavia, come si avrà modo di precisare in seguito, in assenza di un più articolato quadro normativo di riferimento, lascia molti interrogativi e nessuna certezza. A titolo meramente esemplificativo, fermo restando che si rende opportuno richiamare il cittadino-utente alla responsabilità e alla prudenza nell’inserimento dei dati in Rete, dall’altro, lascia perplessi la scelta di rimettere al gestore del motore di ricerca, quindi ad un soggetto privato che segue le logiche di mercato e, per sua stessa natura, difetta dei requisiti di neutralità ed imparzialità, il delicato compito di decidere in merito alle richieste di deindicizzazione dei dati e che “rischia di diventare quasi un’autorità indiscussa a fronte della miriade di richieste di cancellazione dati che saranno trasmesse”. A monte, non si può fare a meno di evidenziare che l’esperienza fin qui maturata ha svelato i limiti dell’approccio del legislatore italiano alle questioni inerenti la protezione della privacy. Prova ne è che per incoscienza o, se si preferisce, a causa di una diffusa inconsapevolezza, il Garante della privacy è stato costretto ad intervenire più volte al fine di arginare gli effetti dell’escalation del “diritto” alla trasparenza o alla conoscenza e, in particolare, le conseguenze pregiudizievoli che possono derivare dall’applicazione del concetto stesso di trasparenza, eccessivamente ampio ed omnicomprensivo, che si desume sia dalla legge 190/2012 che dal d.lgs. n. 33/2013. Non è questa la sede più opportuna per ripercorre pedissequamente le tappe dell’evoluzione del principio di trasparenza, oggi declinato come “diritto alla conoscenza in rete” che, come è stato recentemente evidenziato da Stefano Rodotà, non è in grado di autogovernarsi necessitando di garanzie “costituzionali” idonee a tutelare i diritti degli utenti e porre vincoli ai grandi attori internazionali. Ciò da un lato, induce a ridimensionarne gli effetti positivi in termini di efficienza, innovazione, produttività e competitività del Paese caratterizzato da una legislazione che presenta numerosi lati oscuri, dall’altro a riflettere sul tema dei diritti e della cittadinanza digitale alla luce della Carta dei diritti degli utenti di Internet presentata dalla Commissione UE il 14 ottobre u.s., che affronta problematiche cruciali, tra cui, in particolare, il rapporto tra il diritto alla conoscenza in rete, la tutela del diritto alla privacy (o alla riservatezza) “percepito come una garanzia dei più deboli da vecchie e nuove discriminazioni (…); ancor più uno strumento di libertà rispetto alla logica antidemocratica dell’uomo di vetro; (…) una garanzia di un corretto equilibrio tra mercato e individuo, tecnica e vita, determinismo e libertà” e il diritto all’oblio. Gli aspetti relativi all’accesso alle informazioni ed alla sicurezza dei dati rivestono un rilievo tutt’altro che marginale, atteso che l’incontrollata e costante circolazione sul web dei dati personali presenta dei rischi tutt’altro che trascurabili per i diritti fondamentali e per la privacy dei soggetti cui gli stessi si riferiscono. La complessità della materia è enfatizzata dalla difficoltà di conciliare i diritti degli operatori e degli utenti, con la riservatezza (o la privacy), la tutela delle persone al punto che la dottrina più accreditata avverte “Sulla permanenza in Rete di informazioni che ci riguardano si gioca il nostro spazio di libertà, tutela dell’identità digitale e autodeterminazione informatica. Il diritto all’oblio è una delle frontiere mobili della tutela dei diritti dell’individuo e si sta affermando progressivamente in Europa, pur tra molte incognite e difficoltà applicative”... (segue)
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