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FOCUS - Human rights N. 3 - 03/07/2015

 Affaire Paradiso e Campanelli c. Italie: la Corte EDU torna a pronunciarsi sulla maternità surrogata e sul best interest of child come limite all'ordine pubblico internazionale

Con sentenza del 27 gennaio 2015, la Corte di Strasburgo (Seconda Sezione) affronta nuovamente la tematica della maternità surrogata – surrogate mother o surrogacy – dichiarando la violazione dell’art. 8 CEDU (“diritto al rispetto della vita privata e familiare”) per il fatto che le autorità pubbliche italiane non hanno operato un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco. Prima di esaminare le articolate motivazioni attraverso le quali il giudice europeo giunge ad una tale conclusione, occorre evidenziare come la decisione in commento non sia stata adottata con il consenso del plenum del collegio giudicante, essendovi allegate le opinioni dissenzienti dei giudici Raimondi e Spano. Ciò risulta di particolare rilievo non tanto nell’ottica della valutazione nel merito della vicenda, quanto nel senso di privilegiare un approccio più cauto all’analisi compiuta dai giudici nazionali nella fattispecie de qua. In particolare, i due giudici europei rilevano come la Corte di Strasburgo, nel ravvisare la violazione del sopra citato parametro convenzionale, rischi di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali, “minando così il principio di sussidiarietà e la dottrina della «quarta istanza»”, in quanto, poi, “In questo genere di cause, nelle quali i giudici nazionali devono esaminare questioni difficili di bilanciamento degli interessi del minore, da una parte, e delle esigenze dell’ordine pubblico, dall’altra, la Corte dovrebbe […] dare prova di ritegno e limitarsi a verificare se la valutazione fatta dai giudici nazionali sia arbitraria”. I giudici europei sembrano, così, chiarire il fatto che la Corte dovrebbe affrontare le controversie sottopostele tenendo in considerazione la prospettiva di giurisdizione sussidiaria, rifuggendo da qualunque ingerenza nelle scelte discrezionali proprie delle autorità nazionali, soprattutto in materie dalle evidenti implicazioni ideologiche, come quella, nel caso di specie, della maternità surrogata. Ciò, tuttavia, risulta essere solo parzialmente veritiero in quanto il sindacato europeo è destinato ad incardinarsi su quello nazionale ed esso, sebbene rivolto ad esaminare esclusivamente la ragionevolezza e la proporzionalità della misura nazionale in esame, finisce per incidere inevitabilmente sulle scelte adottate a livello nazionale attraverso la dichiarazione di non conformità convenzionale delle norme che vengono in rilievo. Tale ingerenza si esplica di fatto anche nel caso in esame. La vicenda concreta riguarda una coppia di coniugi che si recava in Russia per procedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo e alla pratica di maternità surrogata, pacificamente ammessa nel Paese di destinazione. A seguito dell’accordo di surrogazione, quindi, l’embrione così formato veniva trasferito nell’utero della madre surrogata, la quale provvedeva a dare il proprio consenso a che il bambino venisse registrato come figlio dei genitori committenti. Successivamente, conformemente al diritto russo, i coniugi venivano registrati nell’atto di nascita come genitori biologici, senza menzione alcuna della madre surrogata, e si recavano così presso il Consolato italiano per ottenere i documenti per ritornare in Italia con il bambino. A questo punto, il Consolato italiano a Mosca procedeva a comunicare alle autorità italiane e al Comune presso cui i ricorrenti chiedevano la trascrizione del certificato straniero che il fascicolo così formato contenesse dei falsi. I ricorrenti venivano così indagati del il delitto di alterazione di stato civile, ai sensi dell’art. 567 c.p., per falso ai sensi degli artt. 489 e 479 c.p. e per violazione dell’art. 72 della legge in materia di adozione (l. n. 183/1984) per aver portato il bambino in Italia in violazione di legge e dei limiti all’adozione. Contestualmente, il Tribunale dei minori di Campobasso apriva un procedimento per la dichiarazione di adottabilità del bambino, dopo aver accertato, tramite test del DNA, che il minore non era figlio biologico della coppia ricorrente... (segue)



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