La legge 7 agosto 2015, n. 124 è a pieno titolo un prodotto di una fase temporale (non breve e di non recente avvio), nella vicenda istituzionale italiana, segnata dalla pervasività dell’ideologia «riformatrice», condivisa pressoché universalmente, per la quale il mutamento è un valore in sé, tanto più alto quanto almeno maggiore è l’estensione degli interventi normativi (se non ne è possibile la meditata profondità, alla quale agevolmente si rinuncia). Sul versante della pubblica amministrazione, questo approccio non è immune da rischi, poiché v’è ampia esperienza di una produzione ipertrofica e non univoca di leggi dichiaratamente intese all’efficienza e alla semplificazione, fonte esse stesse di ulteriori, e talvolta più gravi, incertezze e complicazioni; una legislazione fatta di interventi correttivi ravvicinati, e da ripensamenti convulsi. È perciò rilevante considerare la natura e la struttura della legge 124 del 2015, e il tipo di produzione normativa che in essa trova campo. Benché di questa legge, come spesso è accaduto (ed è presumibile accadrà ancora) per altra legislazione alla quale si vuole dare forte impatto mediatico, venga esaltata la capacità di produrre un «passaggio di sistema», essa non sembra dotata di quella «elevata valenza riformatrice» che si riscontra quando si realizza un mutamento di orizzonte valoriale e ordinamentale per il passaggio da uno all’altro dei termini di una coppia concettuale radicalmente oppositiva (come è avvenuto per la riforma agraria negli anni Sessanta del Novecento, nel passaggio tra i termini proprietà privata improduttiva-valorizzazione del lavoro; per la riforma del sistema regionale e locale innescato con la legge 382 del 1975, nel passaggio tra i termini accentramento-autonomia territoriale; per la lunga sequenza di riforma del Codice di procedura penale, avviata con la legge n. 108 del 1974 e conclusa con i decreti delegati in attuazione della legge n. 81 del 1987, nel passaggio tra i termini rito inquisitorio-rito accusatorio; per la legge n. 42 del 2009 sul «federalismo fiscale», nel passaggio tra i termini finanza derivata-autonomia finanziaria locale, affidato a un processo di devoluzione, peraltro ben presto disatteso dalla crisi finanziaria e dal rafforzamento del controllo statale sulla spesa culminato nella revisione degli artt. 81, 97, 117, 119 Cost. con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1). A poche riforme può essere riconosciuto questo carattere nella storia della Repubblica (salve ovviamente le valutazioni di merito sul contenuto e sul segno di esse, sulla loro riuscita o sul loro fallimento), connotandosi piuttosto altri interventi, benché di rilievo, per la «moderata valenza riformatrice», cioè per razionalizzare l’esistente, operando su di esso con tecnica novellistica, con rimaneggiamenti, con adeguamenti funzionali... (segue)
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