
Sono passati ormai quarantuno anni da quando Costantino Mortati, nell’Introduzione a un celebre volume collettaneo dedicato alla figura dell’Ombudsman, si proponeva di far emergere «elementi di giudizio valevoli per una consapevole e meditata presa di posizione in ordine al quesito, da varie parti proposto, circa la possibilità e la convenienza pratica di una sua introduzione nel nostro paese». Tra i punti salienti toccati in quell'Introduzione spicca senza ombra di dubbio una considerazione attualissima, che sembra però essere stata ad oggi scarsamente recepita, in termini di attuazione, tanto a livello nazionale che regionale e locale. Costantino Mortati sottolineava, in quel contesto, la connessione della figura del Difensore civico con una storica necessità di «superamento dei regimi liberali e di rottura dei diaframmi da essi interposti fra la società e lo Stato», rilevando «l’insufficienza dei vecchi sistemi elettivi» e «l’opportunità di cercare nuovi canali di comunicazione che mettano in più intimo contatto le forze sociali con gli organi di indirizzo politico». In questa direzione, l’introduzione della figura del Difensore civico troverebbe uno spazio ben delineato «nella sfera dell’azione amministrativa affinché essa sia permeata dall’influsso benefico proveniente dalla voce di coloro che ne sono i destinatari, per meglio coordinare il momento di autorità con quello della libertà». A oltre quattro decenni dalle parole appena citate, il Paese manifesta i segni di una forte refrattarietà verso questa figura. I cambiamenti istituzionali sopravvenuti hanno mutato aspetti strutturali e funzionali di indiscussa centralità dal punto di vista amministrativo (mutando conseguentemente alcune condizioni per il concreto inserimento della figura del Difensore), ma le esigenze di fondo ben evidenziate da Mortati sembrano di fatto rimanere senza una adeguata risposta istituzionale. Il caso regionale qui proposto, relativo alla Regione dell’Umbria, appare in questo senso ampiamente rappresentativo di una tendenza caratterizzante gran parte del paese. Certamente la questione inerente l’introduzione del Difensore civico si è intersecata, soprattutto negli ultimi due decenni (e ciò è massimamente rilevabile sul piano regionale a partire dalla Riforma del Titolo V), alla più generale riflessione sull’introduzione dei c.d. organi di garanzia nelle Regioni italiane. Comprendere il ruolo rivestito dalla previsione e dal concreto inserimento, nelle dinamiche istituzionali regionali, degli organi di garanzia significa cogliere aspetti apprezzabilmente significativi della portata della Riforma del Titolo V del testo costituzionale italiano (oltre che delle sue implicazioni non solo giuridiche, ma anche fortemente rappresentative di una rinnovata temperie culturale inerente la gestione della ‘cosa pubblica’, le istituzioni e i diritti dei destinatari di norme, policies, atti e provvedimenti amministrativi posti in essere a tutti i livelli di governo). Le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione italiana, saldatesi a un rinvigorimento del ruolo delle Regioni all’interno della governance europea (che si struttura, per definizione, come ‘multilevel governance’, proprio a sottolineare la compresenza – strutturata, organizzata, collaborativa e sussidiaria – di molteplici livelli di governo), hanno dato l’avvio alla nuova fase statutaria regionale, segnando l’inizio di un processo ancora in larga parte in via di definizione. Caratteristico di detto processo è l’accrescimento del peso, in favore delle Regioni, del loro ruolo rispetto allo Stato (basti pensare alla centralità dell’autonomia legislativa e regolamentare, amministrativa e finanziaria in seno all’evoluzione appena tratteggiata) e della forza della loro posizione sul piano del dialogo istituzionale sovra-nazionale (in primis comunitario, come attesta esemplarmente l’intersecarsi dell’attività normativa – sia in fase ‘ascendente’ che ‘discendente’ – dell’Unione europea con quella posta in essere dalle Regioni)... (segue)
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