Il 10 novembre 2015, una lettera del Primo ministro del Regno Unito David Cameron al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha formalizzato, per la prima volta in forma ufficiale, le preoccupazioni britanniche con riguardo all’appartenenza all’Unione europea. Nell’inviare la lettera Cameron ha così ceduto alle pressioni dei suoi partners, capi di Stato e di governo europei, i quali, da ultimo nella riunione del Consiglio europeo tenuta a Bruxelles 15 ottobre scorso, lo avevano sollecitato a consegnare ad un testo scritto, a loro destinato, l’elenco delle questioni, che ormai da un paio d’anni lo stesso Cameron e i suoi ministri hanno avuto modo di evidenziare in più occasioni pubbliche. Le questioni cioè che, dal loro punto di vista, contrassegnano la distanza del governo di Londra, delle forze politiche, di governo e di opposizione e di una parte consistente dell’opinione pubblica dal processo di integrazione europeA e, soprattutto, dalle sue prospettive. Allo stato non si tratta ancora di proposte di modifiche puntuali dei Trattati o del diritto derivato, ma di un elenco di questioni più direttamente rilevanti per il governo di Londra. Questi aspetti sono stati finora oggetto di consultazioni bilaterali, a livello di sherpa, tra il gabinetto del presidente del Consiglio europeo e gli Stati membri, in stretta cooperazione con la Commissione europea e con rappresentanti del Parlamento europeo. Il Consiglio europeo vi dedicherà una sostanziale discussione politica durante la prossima riunione, calendarizzata a Bruxelles il 17 e 18 dicembre 2015, in vista “to sort out the precise drafting on all of these issues, including the exact legal form the final deal will take”. L’obiettivo che si è dato al riguardo il presidente del Consiglio europeo Tusk è che a tale risultato si giunga in via definitiva entro il mese di febbraio del prossimo anno. Lo stesso giorno dell’invio della lettera a Tusk, il premier Cameron ha chiarito il contenuto delle richieste del Regno Unito in una conferenza tenuta a Chatam House presso il Royal Institute of International Affairs. In quest’occasione Cameron ha fornito maggiori dettagli sulle questioni da lui poste sul tavolo del Consiglio europeo. Inoltre, ha dato anche talune indicazioni relative a modifiche da apportare alla legislazione britannica volte, nel quadro di un British Bill of Rights, per un verso, a precisare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non contiene nuovi diritti suscettibili di essere invocati dinanzi ai giudici del Regno Unito e, per altro verso, a prevedere, sulla falsariga di quanto affermato da alcune Corti costituzionali e supreme degli Stati membri (Cameron fa espresso riferimento alla Corte di Karlsruhe) contro-limiti al diritto dell’Unione, quando questo collida con “essenziali libertà costituzionali”. Nella parte conclusiva della lettera a Tusk, Cameron ha espresso l’auspicio che gli Stati membri raggiungano un accordo sulle questioni oggetto delle preoccupazioni britanniche. In questo caso egli si è dichiarato disposto - in occasione del referendum sull’appartenenza all’Unione europea, calendarizzato al più tardi entro il 2017 - di impegnarsi “con tutto il suo cuore e l’anima” in una campagna volta a “mantenere il Regno Unito all’interno di una riformata Unione europea”. Con ciò lasciando quindi trapelare nella lettera – ma in modo più esplicito nella conferenza a Chatam House - che, nell’ipotesi di mancato accordo, il governo si schiererebbe nella campagna referendaria a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione. Al fine di meglio precisare il contenuto delle esigenze britanniche conviene altresì ricordare che Cameron aveva anticipato talune tematiche concernenti il futuro del Regno Unito all’interno dell’Unione europea nel discorso tenuto il 23 gennaio 2013 presso la sede londinese dell’agenzia di stampa Bloomberg. Inoltre, in una intervista al Daily Telegraph del 15 marzo 2014, Cameron ha elencato sei proposte di cambiamenti specifici per l’Unione europea (il settimo concerne la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Strasburgo). Questi aspetti in tempi più recenti – come, in particolare, nelle dichiarazioni rese davanti al Parlamento britannico il 19 ottobre 2015 sui risultati del Consiglio europeo di qualche giorno precedente - sono stati ricondotti alle quattro tematiche principali (la governance economica, la competitività, la sovranità e l’immigrazione), che costituiscono altrettanti titoli di paragrafi della lettera a Tusk e che riguardano, come vedremo, una serie di questioni di diversa complessità e portata. Su di esse il governo di Londra auspica che si raggiunga, come risulta dalla complessiva intitolazione della lettera, un “new settlement”, dunque, un nuovo “accomodamento” per il Regno Unito in una riformata Unione europea, da consegnare ad un accordo legalmente vincolante ed irreversibile, da incorporare, se necessario, nei Trattati istitutivi. Il suddetto accordo dovrebbe affrontare, in buona sostanza, i seguenti aspetti: la salvaguardia degli interessi degli Stati membri con deroga dalla moneta unica nel contesto di decisioni prese dai membri dell’Eurozona in merito a questioni quali la politica fiscale o l’unione bancaria; il completamento del mercato interno, soprattutto nei settori dei servizi, dell’energia e del digitale; la necessità di concludere accordi commerciali e di accelerare i relativi negoziati con Stati Uniti, Giappone ed India; l’esigenza di accrescere la flessibilità nell’Unione e di eliminare l’eccesso di regolamentazione suscettibile di bloccare la competitività delle imprese; la richiesta di un nuovo opting-out relativamente alla finalità politica ultima dell’Unione, che a giudizio del Regno Unito – e non da ora - deve connotarsi come ente di cooperazione e non mirare alla “unione più stretta tra i popoli dell’Unione”; l’incremento dei poteri dei parlamenti nazionali nel procedimento legislativo UE e, infine, nuove regole in materia di immigrazione, con interventi volti ad evitare abusi nell’esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione ed a prevedere, in caso di adesione di nuovi Stati membri, periodi transitori prima di consentire la circolazione dei loro cittadini... (segue)
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