
Le norme che entreranno in vigore con la riforma costituzionale interesseranno anche il triangolo relazionale tra Stato, Regioni e enti locali. Ciò avverrà dopo che un tema non nuovo per le autonomie territoriali nel nostro Paese è stato anche di recente, in occasione dell’approvazione della legge n. 56 del 2014, oggetto di riflessioni scientifiche e decisioni istituzionali (sent. n. 50 del 2015). Sintetizzando, la questione è così posta: secondo la Costituzione vigente il sistema degli enti locali è (almeno sulla carta) nella disponibilità di entrambi i legislatori (Stato e Regioni); cosa accadrà con l’entrata in vigore della riforma Boschi? Prima di tutto conviene ricordare, pur brevemente, quanto accaduto dal 2001 allorché la riforma del Titolo V della Costituzione mise in discussione il sostanziale monopolio statale sulla disciplina legislativa degli enti locali; un monopolio infranto nella Costituzione originaria solamente dalla competenza regionale a definire con legge la nascita di nuovi Comuni, fatta eccezione ovviamente per le Regioni a Statuto speciale. Una novità tanto enunciata quanto però illusoria portò molti a pensare che da quel momento il ruolo delle Regioni in materia di enti locali sarebbe stato di gran lunga più rilevante che nel passato, tant’è che in molte occasioni si aprì (e si chiuse senza esito) il dibattito sull’aggiornamento del TUEL peraltro adottato pochi mesi prima ossia nell’agosto del 2000 con il d. lgs. n. 267. Con la revisione del 2001 la Costituzione continuò a tenere separato il destino territoriale dei Comuni da quello delle Province (i primi sottoposti alle legge delle Regioni, le seconde a quella dello Stato), ma aprì uno spazio di intervento del legislatore regionale prima non pensabile allorché lasciò allo Stato “solamente” la definizione delle materie di cui alla lettera p) dell’art. 117, comma secondo, Cost. ossia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”. Tant’è che la Corte costituzionale non tardò a ribadire più volte – salvo poi cambiar indirizzo più di recente – un ruolo per il legislatore regionale sia per gli enti locali diversi da quelli citati (ossia Comunità montane, Unioni di Comuni… ex multis sent. n. 237 del 2009), che per la disciplina delle funzioni fondamentali nelle materie di legislazione regionale, fatta salva la competenza statale relativamente alla loro mera individuazione (ossia alla definizione delle etichette). Ciò però accadde unicamente nella fase subito successiva alla riforma, visto che successivamente la Corte costituzionale ha chiuso gli spazi di intervento regionale sugli enti locali diversi da quelli dell’art. 114 Cost. anche in ragione delle esigenze di “coordinamento della spesa pubblica” statale fino ad escludere la legge regionale dalla “fusione per incorporazione” dei Comuni introdotta dalla legge Delrio nonché dalla disciplina delle forme orizzontali di collaborazione (sent. n. 50 del 2015)... (segue)
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