
Le obiezioni alla riforma che si sono ascoltate anche in questo nostro dibattito odierno si riferiscono a due piani distinti. Il primo è quello della forma di governo. Su di esso è difficile però trovare obiezioni forti su un primo punto per così dire pregiudiziale: ha qualche senso che in un periodo di appartenenze deboli il Governo sia appeso a due schede elettorali diverse? Nel primo sistema dei partiti, quando l’elettorato era congelato dentro appartenenze stabili, non appena veniva scrutinato il Senato si sapeva come sarebbero stati i risultati della Camera. Nella metà delle elezioni svoltesi dopo la crisi del primo sistema non è stato più così: Berlusconi fece fatica al Senato nel 1994, Prodi alla Camera nel 1996 e al Senato nel 2006, Bersani al Senato nel 2013. Non esiste nessun motivo razionale, a prescindere dal sistema elettorale che si è adottato per la Camera, che non è costituzionalizzato e che ha il merito di identificare subito un vincitore (e su cui invece è presente una gamma articolata di obiezioni), per sottoporsi a un simile stress. Mi sembra pertanto abbastanza agevole superare anche il corollario di questa pregiudiziale: sulla gran parte delle leggi, che non sono altro che la traduzione degli impegni assunti in campagna elettorale e poi con la fiducia, non può che prevalere dopo un certo tempo l’unica Camera titolare del rapporto fiduciario, libera di accettare gli emendamenti del Senato, come accade in tutte le democrazie parlamentari. Superata quindi sul piano della forma di governo la pregiudiziale e il suo corollario senza troppa fatica (le critiche qui sono veramente minoritarie), dobbiamo invece affrontare tre vere obiezioni di una certa consistenza almeno apparente, Le prime due si riferiscono al cosiddetto combinato disposto con l’Italicum e la terza al procedimento legislativo... (segue)
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