
Nei prossimi anni il tema del rapporto tra regole numeriche di bilancio e tutela dei livelli essenziali di cittadinanza ho la sensazione che risulterà cruciale negli studi che esplorano il confine tra diritto pubblico ed economia. Siamo in una fase di grande torsione delle istituzioni pubbliche: delle istituzioni che si interpongono tra l’individuo ed il mercato e che garantiscono la mutualizzazione dei rischi e la solidarietà tra i cittadini; solidarietà che fa da schermo nei confronti di una società sempre più profondamente regolata dai valori della moneta e del mercato; dove il valore azionario è utilizzato per valutare la gestione di una impresa; le stock options servono a motivare i dirigenti; le norme contabili (fair value) impongono che gli attivi non siano più valorizzati ai costi storici ma al loro valore di mercato; i servizi e i dipartimenti di una impresa sono gestiti come dei centri di costo e di profitto e i soggetti umani sono presentati come un “ capitale umano”. Ora se si considera il diritto come una tecnica sociale specifica , al servizio dell’habitat economico in cui essa opera, non vi è dubbio che l’orizzonte attuale dell’habitat economico europeo , sia pure con qualche sfumatura interpretativa ed organizzativa, sembra condurre ad una omologazione dei diritti sociali entro gli stretti limiti imposti dalla tenuta finanziaria dei mercati; se invece si considera il diritto come una tecnica specifica al servizio di un habitat politico costituzionale fondato su una idea di giustizia sociale, da realizzare a tendere come orizzonte pratico - e mi sembra questo il senso della nostro ordinamento costituzionale positivo - allora rimane un lungo spazio storico interpretativo per cercare di dare senso e prospettiva ad una idea di giustizia sociale, come formalizzata nel nostro ordinamento costituzionale. Mi sembra che in Europa siamo ad un passaggio molto complesso e delicato che intreccia il diritto come tecnica sociale specifica al servizio della regolazione dei mercati e il diritto come componente normativa, cruciale in una fase socio economica fortemente evolutiva; forse se non si maneggiano con cura e consapevolezza questi profili si rischia di semplificare troppo un passaggio denso di passato e di futuro. Se si concepisce l’economia come una scienza “dura”, tendenzialmente astorica e sperimentale e il diritto come una tecnica al servizio di questa scienza, la traiettoria del diritto appare segnata. E’ del tutto legittimo che un giurista voglia essere dentro lo spirito del tempo presente; ma è più complicato voler obliterare il contesto costituzionale positivo nel cui ambito un giurista è comunque chiamato ad operare. E questo contesto positivo unisce nel nostro ordinamento in modo non divisibile diritti individuali e diritti sociali. Ripropongo in modo sintetico i profili essenziali di una riflessione sulle modifiche costituzionali introdotte in materia di finanza pubblica, con la legge cost.le n. 1 del 2012, che vengo svolgendo fin dalla loro adozione. Questa riflessione si colloca nell’alveo delle teorie della regolazione che cercano di tenere insieme i fili dell’economia e del diritto e attribuiscono un ruolo centrale alla qualità, storica e ordinamentale, della regolazione. E’ una linea che mi sembra particolarmente utile per capire l’evoluzione strutturale e la attuale crisi del processo di integrazione europea. Ottica dunque istituzionale ed organizzativa; in linea generale, la regolazione va inserita e spiegata nel contesto di una analisi delle forme della regolazione dei mercati capitalistici (cfr., per tutti, da ultimo, R.Boyer, Economie politiche des capitalismes, Theorie de la regolation et des crises, 2015, La decouverte). La domanda di fondo può essere formulata nel seguente modo: perché è necessaria una regolazione dei mercati e quale tipologia di regolazione? I fatti sembrano piuttosto chiari nel dirci che i mercati finanziari non si auto regolano; sono il più storico dei manufatti oggetto di regole; sono essi stessi espressione di queste regole: sulla proprietà; sui contratti; sugli accordi; sulla governance delle società e sulla disciplina della struttura associativa, ecc. Mentre nel valore interno ed esterno (cambio) della moneta e dei titoli che comunque attuano uno scambio di valori nel tempo e nello spazio si intrecciano tutti i fili, reali, simbolici e normativi , del valore e della creazione monetaria. La tesi di fondo della teoria della regolazione, nelle sue molteplici varianti può forse così riassumersi: è il contesto istituzionale a creare, in ultima analisi, le condizioni dell’equilibrio e degli squilibri. Le crisi si spiegano soprattutto attraverso elementi e caratteri di ordine storico-istituzionale: elementi che afferiscono alla qualità della regolazione. Nel termine qualità sono inclusi i tratti della chiarezza esplicativa, effettività, adesione sociale: dentro la regolazione c’è tutto il rapporto storico tra norme giuridiche (sanzionate dall’ordinamento che deve in via formale ripristinare la legalità); norme sociali (sanzionate dalla perdita di reputazione) e norme morali (sanzionate dal senso di colpa individuale). L’idea che sia possibile determinare ex ante un percorso giuridico vincolante, addirittura di valore costituzionale, che imbriglia e predetermina la volontà di parlamenti democraticamente eletti, è probabilmente figlia della congiunzione di due linee di analisi, la prima economica e la seconda giuridico istituzionale : la linea economica è quella che intesta alla democrazia parlamentare (e ai suoi supposti eccessi) l’esplosione del debito pubblico; la seconda è collegabile alla idea funzionalista secondo cui una buona regolazione è la base affinché il mercato esprima la sua potenza creativa , di ricchezza e sviluppo e trovi il suo equilibrio... (segue)
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