
Come ormai noto, il referendum del 23 giugno 2016 sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea si è concluso con la decisione dei cittadini britannici di “lasciare l’Unione europea” Il Leave ha guadagnato il 51,89% dei suffragi espressi, rispetto al 48,11 % dei voti ottenuti da coloro che preferivano continuare a far parte dell’Unione (Remain). L’Unione europea - e lo stesso Regno Unito-, conseguentemente, sono entrati in una Terra incognita. Non esistono, infatti, precedenti riguardo al recesso di uno Stato membro dall’Unione, ipotesi formalmente regolata dall’art. 50 del trattato sull’Unione europea (di seguito TUE), introdotto a Lisbona nel 2007. E’ emersa una notevole incertezza anche nelle prime dichiarazioni dei leader politici europei e qualche confusione pure nelle opinioni espresse da taluni osservatori, nel profluvio di contributi sui media successivi alla pubblicazione dei risultati. La finalità di quest’analisi - che sarebbe riduttivo definire “a caldo”, dato che non prende solo in esame fatti appena avvenuti, ma, addirittura, insegue eventi in corso nel momento in cui si scrive – è quella di valutare, ancorché sinteticamente, i principali aspetti giuridici e le correlate implicazioni politiche dei prossimi passaggi istituzionali. Non mi soffermerò, pertanto, né sul cammino che ha portato al referendum, vale a dire sulle richieste britanniche volte a rinegoziare la partecipazione all’Unione e sul compromesso raggiunto dagli Stati membri a margine del Consiglio europeo del 18-19 febbraio 2016, né mi occuperò di valutare le chance dei diversi modelli possibili, sulla base di quelli esistenti ovvero di nuovi e specifici ipotizzabili appositamente, per le future relazioni tra l’Unione ed il Regno Unito... (segue)
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