La sentenza in esame (Corte cost., sent. n. 102/2016) – pur occupandosi di illeciti estranei alla materia tributaria – offre spunti interessanti per meglio comprendere i termini del (persistente) conflitto tra il sistema sanzionatorio tributario ed il principio del ne bis in idem “europeo". Non è il caso in questa sede di analizzare tutti i singoli aspetti di tale conflitto, trovando ciò già approfondita trattazione da parte della dottrina penalistica e tributaria. Limitando per ora il discorso al ne bis in idem sancito dall’art. 4, prot. 7 CEDU – questo essendo il parametro formalmente invocato dai rimettenti – sia sufficiente ricordare come esso (conflitto) tragga origine: (i) dall’approccio sostanzialistico nella definizione di “fatto” e di “sanzione penale”, assunto dalla Corte di Strasburgo: il primo (idem factum) inteso in senso naturalistico, a prescindere dal suo “inquadramento legale tipico” e, quindi, da quelle circostanze secondarie che potrebbero comportare, secondo i canoni del diritto interno, l’ascrivibilità a titoli di illecito formalmente diversi; la seconda (criminal charge) definita non tanto in ragione della sua formale qualifica “penale”, quanto per la sua funzione (dissuasivo-punitiva) o per il grado di severità (cd. criteri Engel della Corte EDU, poi recepiti dalla Corte di giustizia nella sentenza Bonda); (ii) dalla inquadrabilità, in questa prospettiva, delle sanzioni amministrative tributarie come (sostanzialmente) “penali”, se paragonate alle omologhe sanzioni svedesi e finlandesi che, benché ben più lievi, sono state così qualificate dalla Corte EDU; (iii) infine, e soprattutto, dal modo in cui è proceduralmente declinato, nel settore fiscale, il “principio di specialità”, criterio (sostanziale) di coordinamento tra illeciti (formalmente) amministrativi e penali nel settore tributario. Soprattutto, perché, da una parte, il ne bis in idem CEDU esprime non tanto un divieto di doppia “punizione” (Anrechnungsprinzip), quanto un divieto di doppio “giudizio” (Erledigungsprinzip), del quale il primo è solo logica conseguenza; dall’altra, perché la sospensione nell’irrogazione della sanzioni, prevista in attesa della pronuncia del giudice penale dall’art. 20 d.lgs. n. 74/2000, nell’ottica del ne bis in idem CEDU, non impedisce il realizzarsi di una “final decision” preclusiva dell’instaurazione (o prosecuzione) di qualsivoglia altro giudizio sul medesimo “fatto” e nei confronti dello stesso soggetto. Sono noti – poi – anche gli “effetti collaterali” che l’eventuale acritico innesto di simile principio provocherebbe sul sistema sanzionatorio tributario, in relazione agli illeciti penalmente rilevanti. In particolare, sul piano prettamente giuridico: (a) la casualità della risposta punitiva, legata alla accidentale “cronologia” dei procedimenti, con lesione del principio di uguaglianza dinanzi al diritto punitivo (art. 3 Cost.); (b) la sostanziale cancellazione dello stesso principio di “specialità”, in ultima analisi rilevando non la sanzione maggiormente caratterizzata nei suoi elementi, ma quella (eventualmente) irrogata per prima, con soverchiamento della scelta di politica criminale sottesa a tale principio... (segue)
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