Può apparire da subito abbastanza evidente che parlare di Costituzione Fiscale Multilivello significa tentare di esprimere un concetto che, già di per sé, pare configurarsi come una contraddizione in termini. La fiscalità, infatti, è da sempre, ovvero, da quando i principi riconducibili al costituzionalismo hanno faticosamente iniziato ad affermarsi, strettamente correlata al presupposto della rappresentatività, e dunque, ai presupposti della sovranità e della statualità. È così dalla “preistoria” del costituzionalismo, quando nel 1215 la Magna Charta ebbe ad affermare che “nessuna contribuzione i nobili ed il clero avrebbero pagato se non dopo che l’avessero approvata riuniti in consesso” (per commune concilium regni). Il che dicasi anche secondo l’impostazione di chi dava comunque di quel documento una valutazione riduttiva, ritenendo che non si potesse affermare che contenesse i capisaldi di una Costituzione moderna, trattandosi invero di “uno dei tanti patti fra baroni e re che erano abbastanza comuni durante il regime feudale e che erano resi possibili dalla natura di quel regime”. Sono tuttavia noti ed evidenti gli svolgimenti che quel documento ebbe per il costituzionalismo, con l’affermazione della rappresentanza indiretta dal 1254 nel commune concilium regni, poi Parliamentum, con l’invio da parte dei cavalieri di due rappresentanti per ogni contea e con l’invio, dal 1264, in quelle assemblee dei rappresentanti dei comuni più importanti, proprio per approvare “i sussidii che tutti i corpi locali concedevano al capo della loro federazione”, con la successiva riarticolazione di quel consesso in due Camere tra di loro più omogenee (House of Lords e House of Commons), a far data dal “secolo decimoquarto”, con il progressivo passaggio alla rappresentanza diretta. Chiaramente, non si tratta ancora della rappresentanza modernamente intesa; è la rappresentanza dello Stato, non ancora la rappresentanza del popolo, che si avrà solo quando Lincoln parlerà di “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, in occasione del discorso di Gettysburg, pronunciato il 19 novembre 1863, durante la guerra di secessione. Ciononostante, è altrettanto noto come il principio no taxation without representation si riaffacci sulle scene istituzionali, costituendo, tra il 1750 e il 1760, il principale propulsore dei coloni britannici delle tredici colonie d’oltreoceano, che fu alla base della Rivoluzione americana. La rappresentanza deve essere unitaria e su base nazionale. Così, anche la fiscalità deve essere unitaria e su base nazionale, anche quando lo Stato è territorialmente articolato, come rilevava chi sottolineava che in tutte le confederazioni che hanno preceduto l’Unione americana “il governo federale, per provvedere ai propri bisogni, si rivolgeva ai governi particolari”, i quali potevano sempre sottrarsi all’obbedienza, mentre ora, “in America, i sudditi dell’Unione non sono gli stati, ma i semplici cittadini”. Quando l’Unione vuole imporre una tassa non si rivolge agli Stati, ma ai cittadini, poiché “i vecchi governi federali avevano di fronte popoli”, mentre “quello dell’Unione solo individui”. Dunque, rappresentanza e fiscalità dovevano avere una dimensione nazionale, essere elementi caratterizzanti la sovranità, poiché il “governo dell’economia” non poteva che conoscere quella dimensione, stante l’incapacità delle “Confederazioni” di affrontare le relative problematiche. Ne consegue che la sovranità fiscale è, ad un tempo, il presupposto e la conseguenza della sovranità economica e monetaria, ed è strettamente correlata alla rappresentanza su base nazionale, al concetto di popolo… (segue)
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