William Beveridge che, come noto, è stato uno dei primi fautori e teorici dello Stato sociale, chiamato da Churchill durante il periodo bellico ad elaborare una riforma delle assicurazioni sociali, ha sostenuto l’importanza di una tutela delle condizioni materiali dell’individuo, cercando così di coniugare i principi della democrazia (liberale) con la protezione sociale che si esplica innanzitutto con l’obiettivo della “piena occupazione”, con l’eliminazione dell’indigenza e dello squallore anche da un punto di vista ambientale, la riduzione delle malattie e l’attivazione di misure di prevenzione ed infine la riduzione dall’ignoranza, cosicché “le porte del sapere” non si debbano chiudere mai. L’assenza di un’azione di governo verso questi obiettivi è fonte di una serie interminabile di mali: “l’odio contro gli stranieri, l’odio contro gli ebrei, l’inimicizia fra i sessi”. Si precisa poi che “un reddito sufficiente non basta di per sé stesso, e il liberarsi dal bisogno è soltanto una delle libertà essenziali dell’umanità”. Rileggere a distanza di più di settant’anni Beveridge, consente di comprendere l’attualità del suo pensiero nonostante il tempo passato e ben si percepisce come i problemi pre e post bellici non siano molto diversi da quelli che stiamo vivendo dal 2008 ad oggi. In altre parole si percepisce, se ancora vi fosse bisogno, di come la questione della tutela dei diritti sociali rimanga al centro della stessa democrazia di uno Stato, che le ragioni per cui si è giunti alla prima ed alla seconda guerra mondiale siano presenti in questa fase storica in maniera evidente e quell’obiettivo della “piena occupazione” in realtà irraggiungibile, sia purtroppo considerato ancora una volta marginale nelle scelte politiche degli Stati e più in generale dell’Unione europea. Obiettivi questi che, dice sempre Beveridge, non potevano essere perseguiti in via esclusiva dall’Inghilterra, ma espressione comune degli Stati con cui essa stessa doveva poi instaurare rapporti economici, a tal punto che la stessa Inghilterra doveva fare da traino per le altre Nazioni. La situazione attuale sotto taluni aspetti non pare molto diversa, forse perché conseguenza di un periodo di grande crisi economica che ha determinato una modifica di quell’assetto socio-economico esistente dal secondo dopo guerra in poi e che ha messo in crisi molti dei fondamenti essenziali dello Stato sociale. Il contesto istituzionale, politico ed economico, sussistente in questo periodo, induce quindi a cercare di capire se e come i diritti sociali possano ancora trovare sufficiente garanzia e se la tutela multilivello dei diritti, oggetto di ampio apprezzamento e valorizzazione da parte di tutta la dottrina, non rappresenti forse un limite all’effettività della tutela. Da un lato il riconoscimento di un potere normativo a più soggetti può rappresentare un mezzo di incremento della tutela, dall’altro tuttavia, la necessità di garantire diritti particolari e differenziati può mettere in dubbio il quadro generale della loro tutela, in quanto interessi particolari, che vengono in evidenza nei diversi contesti, possono incidere sul quadro generale dei diritti. Può essere quindi utile analizzare il tema della tutela multilivello dei diritti, già ampiamente affrontata dalla dottrina, per individuare se la correlazione fra i vari ordinamenti e la rispettiva disciplina possano costituire un limite, più che un vantaggio per la tutela dei diritti. La democraticità di uno Stato dipende in maniera significativa dall’effettiva tutela dei diritti e, con riguardo ai diritti sociali ed al contenuto di prestazione ad essi connesso, si pone il problema della scelta affidata all’organo d’indirizzo politico se preferire la maggiore tutela dell’uno o dell’altro diritto. Maggiore non deve tuttavia significare riduzione di tutela di altri diritti parimenti garantiti dalla Costituzione. Occorre quindi capire se le strade della differenziazione che si stanno percorrendo in Italia ed in Spagna costituiscano un vantaggio o un limite a tali garanzie… (segue)
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