Il tema della difesa comune europea è di grande attualità a causa dell’evoluzione della situazione geopolitica e dei nuovi rapporti che si stanno sviluppando all’interno della Nato con la presidenza Trump. Ma è anche un tema che troviamo dibattuto e oggetto di un serrato confronto politico nei primi passi del progetto europeo negli anni cinquanta.
Esso è un punto nodale, anche se incompiuto, della costruzione di un’Europa unita. Parlare di difesa comune significa infatti parlare di politica estera comune e, inevitabilmente quindi, di una reale unione politica, più avanzata di quella che si è avuta in questi decenni nei quali in questi campi non si è avuta una comunitarizzazione.
Nel 1950 fu annunciato il c.d. “piano Pleven” che prevedeva una organizzazione di difesa comune dipendente da “organi politici dell’Europa unita”. Il futuro esercito europeo sarebbe stato posto sotto l’autorità di un ministro europeo della difesa, nominato dai governi nazionali, assistito da un consiglio dei ministri e responsabile davanti ad una assemblea europea. L’esercito europeo avrebbe dovuto costituire il passo verso l’Europa politica. Dopo faticosi negoziati, sui quali pesava il problema del riarmo della Germania, il trattato istitutivo della CED (Comunità europea di difesa) fu firmato nel maggio 1952 a Parigi. Esso trovò l’opposizione dell’opinione pubblica francese e fu portato all’esame dell’Assemblea nazionale due anni dopo. Ma il 30 agosto del 1954 venne respinto.
Fu un evento decisivo per lo sviluppo successivo dell’integrazione europea che si spostò dal piano politico a quello economico, seguendo il metodo detto funzionalista.
Oggi, come accennavo prima il tema è tornato di attualità e l’Europa è impegnata ad assumere maggiori responsabilità per la sua stessa sicurezza. Essa intende rafforzare il proprio ruolo di partner credibile e affidabile nel settore della sicurezza e della difesa nell’ambito di un quadro di iniziative che accrescano la sua autonomia integrando e rafforzando, nel contempo, le attività della Nato.
Si stanno sviluppando progetti nell’ambito della Cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation, PESCO), prevista dal Trattato di Lisbona (articoli 42.6 e 46 e Protocollo 10.3). I relatori che interverranno dopo di me approfondiranno questi aspetti. Mi limito quindi a sottolineare che la cooperazione europea in materia di difesa tende a rendere integrabili gli apparati nazionali, a prevedere scambi di informazioni e conoscenze tecnologiche, a rinsaldare la collaborazione in materia di intelligence (elemento questo indispensabile contro le minacce del terrorismo), a rafforzare le capacità contro le minacce alla cybersecurity.
L’aspetto che, in conclusione, mi preme sottolineare che siamo di fronte ad una serie di iniziative importanti, ma pur sempre limitate, una sorta di metodo funzionalistico applicato al campo militare. Siamo, cioè, ben lontani dall’idea degli anni Cinquanta di una difesa europea motore e elemento essenziale di un’Europa politica.
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