Fin dal suo sorgere, la crisi libica ha messo in risalto i limiti che incontra il processo di politicizzazione dello spazio europeo. Per un verso, s’è registrato il prevalere delle logiche particolaristiche dei singoli governi, che si sono mossi spesso in competizione tra loro (Francia e Italia, innanzitutto), arrivando divisi al confronto con i partner extraeuropei maggiormente impegnati nelle dinamiche geopolitiche dell’Africa mediterranea (USA, URSS, Egitto e Turchia). Per altro, l’UE in quanto tale non è riuscita ad esprimere non solo una comune politica di gestione della crisi, ma neanche una posizione, visto che c’è stato un succedersi di mere dichiarazioni di principio. Eppure, l’instabilità della regione rappresenta una seria minaccia per la sicurezza europea: si pensi solo alle conseguenze che la dissoluzione dello spazio politico libico – tema su cui ritorneremo – ha avuto nel 2011 sull’ingrossamento e l’incontrollata moltiplicazione dei flussi migratori diretti verso il Continente. Per questo, la crisi libica appare molto più grave, con riferimento alle prospettive di integrazione, rispetto alla Brexit. Quest’ultima, infatti, può, al limite, essere ricostruita con gli strumenti concettuali e istituzionali del diritto costituzionale europeo. In ultima analisi, la Brexit ha dimostrato l’impraticabilità di una via federalistica tradizionale, ovvero basata sulla perfetta congruenza e simmetria tra gli attori statuali in gioco e le loro rispettive popolazioni e istituzioni. Si potrebbe, cioè, parlare di una rottura dell’«equilibrio» tra le due principali tendenze del processo unitario europeo, vale a dire «quella verso una struttura di tipo internazionalistico e quella verso una struttura di tipo federalistico», e dell’apertura di «forme organizzative in tutto o in parte nuove, come del resto è spesso accaduto in passato, nell’ambito dell’evoluzione dello stato moderno o nelle fasi ancora precedenti». Nella complessa articolazione della Brexit, potrebbe, in ultima analisi, delinearsi un’ipotesi di integrazione autopoietica, ovvero caratterizzata da un superamento della rappresentazione “vestfaliana” dello spazio europeo, ricostruito non più come la risultanza dell’incontro di istituzioni e popoli originariamente posti come distinti gli uni dagli altri.In questo senso, la Brexit – con la sua complessità, con la sua strutturale reversibilità e con l’estrema mutevolezza del suo orizzonte spazio-temporale – potrebbe rientrare nella rappresentazione dell’Europa come di un organismo altamente diversificato, i cui organi interdipendenti sono costituiti dall’altissimo numero di variabili culturali e politiche in esso presenti. La crisi libica, viceversa, sembrerebbe configurarsi come una καταστροφή, come un «volgere alla fine», nel quale tutti i nodi del percorso europeo si sciolgono e i conflitti e gli equivoci nati nel percorso stesso vengono finalmente alla luce nel loro significato più autentico, fino alla liberatoria e luttuosa catarsi finale. Siamo tuttavia convinti che anche la καταστροφή libica possa essere suscettibile di una lettura costruttiva, a condizione che essa venga considerata come occasione per reimpostare il problema della difesa europea, oltre la bipolarizzazione metodologica tra prospettiva federalistica e prospettiva internazionalistica. A tal fine cercheremo innanzitutto di mostrare come la crisi libica possa essere utilmente considerata un case-study per richiamare l’attenzione sulle criticità che i paradigmi vestfaliani mostrano nella ricostruzione dei principali eventi geopolitici del dopo-Guerra fredda. Vedremo, dunque, che, così come in altre coeve emergenze di natura geopolitica, l’Europa non riesca ad esprimere una propria strategia che non sia la semplice somma algebrica delle politiche stato-nazionali e tendenzialmente sovranistiche dei Paesi membri. Questa evidenza sarà considerata una conferma dell’ipotesi che la differenziazione dei meccanismi decisionali “per materia”, uno sovranazionale e uno intergovernativo, sia scritta con una grammatica di tipo ancora vestfaliano, ovvero con una grammatica poco idonea alla costruzione di risposte alle sfide geopolitiche del dopo-Guerra fredda. Pertanto, proporremo di prendere concretamente in considerazione la prospettiva dello “sdoppiamento”, ovvero di distinguere le modalità decisionali sulla base della partecipazione al progetto europeo, in modo da dar vita a un nucleo forte, in grado anche di attrarre altre adesioni, sulla base delle proprie performance geopolitiche… (segue)
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