
La XVIII legislatura rappresenta un momento di svolta nella storia dell’Europa contemporanea. Per la prima volta una delle grandi democrazie fondatrici del processo di integrazione europea ha consegnato il governo del Paese a forze politiche populiste. Ci si è interrogati a lungo sulla definizione del concetto di populismo. Ebbene, il 5 giugno 2018 un Professore ordinario di Diritto privato dell’Università di Firenze ne ha fornito l’interpretazione autentica. Il Professore Giuseppe Conte, nelle comunicazioni rese nell’aula del Senato - che stava per votare la fiducia al Governo da lui presieduto -, ha dichiarato: «Le forze politiche che integrano la maggioranza di Governo sono state accusate di essere populiste, antisistema. Bene, sono formule linguistiche che ciascuno è libero di declinare. Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente - e qui traggo ispirazione dalle riflessioni di Dostoevskij, nelle pagine di «Puškin» - se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene, queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni». Dunque, populismo significa immediata (nel duplice significato di: attuale non collocata in una prospettiva di medio o lungo periodo; e non mediata da forme di integrazione) manifestazione di bisogni che la classe dirigente ha solo il dovere di soddisfare. La classe dirigente non deve cercare di elaborare la proposta di nuovi assetti sociali: la gente sa da sola quello che vuole, basta ascoltarla. Per questo non serve neppure una particolare competenza politica per divenire classe dirigente. Anzi: minore è la competenza politica, maggiore sarà la capacità di ascolto dei “bisogni della gente”. Uno vale uno: ovvero uno vale l’altro. Se dietro il discorso del Presidente del consiglio Conte vi fosse veramente una concezione politica, foss’anche una concezione “populistica” della politica, non sarebbe certamente da cercare nelle citazioni, a sproposito, di classici russi. Essa potrebbe più agevolmente essere trovata nelle pagine di un autore originario della città che ospita la sua cattedra di Diritto privato: Vasco Pratolini. L’immagine della gente che esprime genuinamente i suoi bisogni ricorda quella del popolano, buon selvaggio, che Pratolini ci dipinge ne “Il quartiere”. Se vi fosse una concezione politica. Ma non c’è. Dietro il discorso di insediamento del Presidente del consiglio c’è un’azienda privata, la “Casaleggio e associati”. E allora, forse, il riferimento letterario più adatto alla figura di Giuseppe Conte è “Il candidato della Manciuria” di Richard Condon, per lo meno nella sua rivisitazione cinematografica, non già del 1962 quanto piuttosto del 2004. Suggestioni letterarie e cinematografiche a parte, la rappresentazione delle dinamiche di interazione tra società e istituzioni che emerge dal discorso del Presidente del Consiglio è quella di un rapporto unidirezionale: le istituzioni della Repubblica non devono interferire con le strutture della società ma devono semplicemente accoglierne le istanze. Ecco allora che a presiedere il Governo è chiamato l’«avvocato degli italiani» con il compito esclusivo di applicare, non già un programma, ma un «contratto di governo»… (segue)
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