
Osservando lo stratificarsi delle non poche norme internazionali di hard e di soft law in materia di contrasto alla corruzione sembra possibile delineare un emergente modello di prevenzione della corruzione che dal punto di vista strutturale-istituzionale, organizzativo e funzionale si propone agli ordinamenti interni sia a livello universale che a livello regionale e continentale come non solo utile, ma soprattutto in taluni casi ineludibile fonte di ispirazione delle politiche nazionali in materia. Sempre di più, infatti, il contesto giuridico internazionale si propone come “luogo” non più e non tanto di confronto delle sovranità nazionali, ma di elaborazione di criteri guida per consentire alle singole politiche nazionali di convergere verso modelli se non condivisi almeno capaci di dialogare reciprocamente. E’, questa, indubbiamente una conseguenza sul piano giuridico del processo fattuale di globalizzazione. E’, tuttavia, anche il portato dell’evoluzione della comunità internazionale dal modello emerso dalla pace di Westfalia al “modello onusiano”: in questo secondo non viene a perdere importanza il principio della sovrana uguaglianza di tutti gli Stati; esso permane, ma viene coniugato con il principio di legalità internazionale. Quest’ultimo, tra l’altro, contempera il primo con una drastica riduzione del perimetro del dominio riservato di ciascuno Stato, in particolare quanto al trattamento delle persone che ricadono nell’ambito della giurisdizione nazionale. Il perseguimento della pace, il mantenimento e rafforzamento dello Stato di diritto, della democrazia, del rispetto del principio di libertà e dei diritti fondamentali della persona diventano materie di international concern. Di conseguenza, entro la comunità internazionale lo Stato ha la responsabilità di presidiare l’intangibilità della propria sovranità, ma di provvedere a questo fine coniugandolo con l’obiettivo di amministrare la propria comunità territoriale nel rispetto dei principi di cui sopra. Si tratta, come si comprende, non di abdicare a un principio fondante della comunità internazionale moderna, ma di arricchirlo con dimensioni diverse. Per effetto di questo processo il dialogo fra gli Stati, la condivisione di percorsi politici e giuridici tramite anche il confronto fra modelli, la loro circolazione e contaminazione, sono dunque diventati il modello usuale di confronto fra gli Stati stessi. Ora, è fuor di dubbio che le condotte di corruzione si caratterizzino sempre più spesso per la propria transnazionalità anche solo, ma non è poco, «derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni»: quest’ultima evenienza è veramente sintomatica per il caso del contrasto alla corruzione. L’azione di contrasto a essa implica, dunque, un quadro di concertazione stretta fra le diverse amministrazioni statali, ai molti livelli implicati, nel quadro della cooperazione intergovernativa al fine di contenerne la diffusione e fronteggiare i danni da essa prodotti. Sono le stesse convenzioni internazionali che gli Stati hanno stipulato in materia a indicare come la corruzione venga percepita dagli stessi Stati quale pratica capace di mettere a repentaglio alcuni dei principi ordinatori della stabilità del sistema interstatuale (della comunità internazionale nel suo complesso) e delle singole comunità nazionali, compromettendone valori e beni giuridici fondamentali: se l’apparato dello Stato si fa complice (con azioni omissive o commissive) di tali pratiche - ciò comportando tra l’altro la violazione di diritti fondamentali della persona, a partire dal principio di non discriminazione -, ne deriva una situazione di fragilità delle istituzioni democratiche a motivo della perdita di fiducia dei cittadini nella capacità di queste ultime di amministrare in modo imparziale ed efficiente la comunità territoriale. Il riferimento che le convenzioni internazionali fanno al rischio cui è esposto il rule of law risulta assai pertinente… (segue)
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