
Le tre sentenze, emesse nella stessa udienza del 6 novembre 2018 dalla Grande Chambre della Corte del Lussemburgo, sull’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti assumono uno storico “significato”, sia per il settore interessato, quello dei diritti di “solidarietà” nel quale sino ad oggi la Corte aveva richiamato le relative disposizioni della Carta (peraltro con una giurisprudenza non immune da critiche della dottrina pro-labour in molti casi) solo in via interpretativa ed anzi, per l’art. 27, aveva espressamente escluso l’ipotesi di applicabilità diretta della norma, sia perché sembrano suggellare una fase di rilancio del Bill of Rights dell’Unione attraverso una sistematica opera di chiarificazione del significato delle sue norme anche in rapporto ai poteri del giudice ordinario. Tra la fine del 2016 ed il 2018 si è vista una nuova energia e determinazione da parte della Corte di giustizia nell’enforcement della Carta ma anche una maggiore precisione nella sua utilizzazione come “fonte” primaria del diritto dell’Unione oltre lo stile, spesso “eclettico” adottato in precedenza (anche dopo l’entrata in vigore del Lisbon Treaty), tanto da lasciare in ombra la delicata questione del suo impatto non solo come strumento ermeneutico del diritto sovranazionale, anche- ovviamente- in rapporto con quello nazionale, ma come base giuridica per la conferma del primato del primo sul secondo, ove tale primato non possa essere affermato per altre vie meno esigenti come quella, tipicamente, dell’interpretazione conforme. Questa stagione sembra costituire una risposta anche alle indicazioni di alcune Corti costituzionali per una “rinazionalizzazione” e per l’accentramento (in capo ad esse) del giudizio di compatibilità sovranazionale delle norme interne sulla base del Testo di Nizza, di cui il molto discusso obiter della sentenza 269/2017 della nostra Corte delle leggi è l’ultimo episodio, come si dirà corretto in modo piuttosto energico nella successive precisazioni offerte nelle sentenze nn. 20 e n. 63 del 2019. In questo breve intervento nel primo paragrafo si ricostruiranno sinteticamente le tappe del rilancio della Carta di Nizza nello scenario giudiziario continentale e si cercherà di individuare qualche ragione per un tale “cambiamento di passo” che – secondo chi scrive- si può ricondurre alla crisi esistenziale dell’Unione cui la sua Corte sembra offrire, per quanto possa competerle, una via di fuga. Nel successivo verranno esaminate le tre sentenze da un punto di vista più direttamente lavoristico, anche in relazione agli effetti che potrebbero avere sia a livello di giurisprudenza interna che sui pregressi orientamenti della Corte di giustizia in campo sociale. Infine, alla luce di quanto emerge dagli ultimi arresti della Corte del Lussemburgo, si esaminerà qual è lo stato del cosidetto “dialogo tra Corti” nel caso di cosidetta “doppia pregiudizialità” dopo le tre ultime decisioni della Corte delle leggi italiana… (segue)
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