Secondo l’art. 6, par. 1 TUE, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (in prosieguo, la “Carta” o la “CDF”) ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ci si può chiedere se e in che misura la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sugli effetti diretti delle norme di diritto primario dell’Unione, risalente alla sentenza Van Gend en Loos, possa essere estesa ai diritti contenuti nella Carta. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, recentemente riaffermata nella pronuncia Hein, la precondizione di tali effetti diretti è l’esistenza di un conflitto reale fra la norma nazionale e quella dell’UE. In altri termini, gli effetti diretti si possono invocare solo qualora non sia possibile interpretare la legislazione nazionale in maniera conforme alla Carta. In questo caso, gli effetti diretti (di alcuni) dei diritti affermati dalla Carta possono ricavarsi da un’interpretazione a contrario dell’art. 52, par. 5, CDF, in quanto non rientranti in quelle disposizioni della Carta che contengono principi, che possono essere invocate solo in combinato disposto con la disciplina dell’Unione o nazionale che ne dà attuazione. A tal proposito, la Corte ha già chiarito che alcune delle disposizioni della Carta che sono dotate di contenuto prescrittivo dovrebbero, in linea di principio, avere effetto diretto verticale. Si pensi, ad esempio, alla giurisprudenza sui principi di uguaglianza e non discriminazione di cui agli artt. 20 e 21 CDF (cause Glatzel e Milkova)… (segue)
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