
L’ord. n. 207/2018 della Corte costituzionale, nell’affrontare con la spiccata creatività sottolineata già dai primi commenti la questione di legittimità riguardante la punibilità della condotta di aiuto al suicidio ex art. 580 c.p., richiama in alcuni passaggi della motivazione il diritto alla vita. Tra questi riferimenti, i più significativi sembrano in particolare due: quello in cui la Corte considera il diritto alla vita «riconosciuto implicitamente – come “primo dei diritti inviolabili dell’uomo” (sentenza n. 223 del 1996), in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri – dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 35 del 1997), nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 CEDU» e quello ove si rileva che «l’incriminazione dell’istigazione e dell’aiuto al suicidio – rinvenibile anche in numerosi altri ordinamenti contemporanei – è, in effetti, funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio». I termini nei quali la Corte si riferisce al diritto alla vita sembrano collocarsi in linea di continuità con precedenti pronunce, in particolare le due specificamente ricordate nei passaggi appena citati. Questo orientamento si inserisce nell’ampio filone interpretativo che ritiene di poter sopperire all’assenza nella Carta di una espressa disciplina del diritto alla vita riconducendolo all’art. 2 Cost., oppure considerandolo “immanente” nel sistema di protezione dei diritti, ovvero traendolo da valori e principi costituzionali. Ciò che accomuna tali letture, pur nella (a volte radicale) diversità di angolazioni e di impostazioni, è quindi l’opinione che sia in ogni caso desumile una decisione costituzionale riguardante il diritto alla vita in una sua dimensione estesa, più ampia dei singoli aspetti di esso che vengono presi in considerazione in specifiche disposizioni. Tali approcci, benché godano in dottrina del sostegno di voci autorevoli, danno tuttavia luogo a più di qualche perplessità, che attengono sia alle tecniche argomentative che ne sono alla base, sia alla connessa questione degli insoddisfacenti esiti ermeneutici che ne derivano. Da quest’ultimo punto di vista, infatti, ricavare per tali vie il rilievo costituzionale del diritto alla vita non sempre conduce a delineare con precisione e determinatezza anche gli elementi identificativi di esso. Ne restano in particolare spesso ambigui la natura (diritto di libertà? diritto-dovere?), l’ambito materiale (vita in senso meramente biologico? vita “dignitosa”?), il contenuto (è inclusa, ed eventualmente con quale estensione, la facoltà di privarsi della vita?), i limiti (diritto non limitabile in senso assoluto? limitabile a certe condizioni?) ecc… (segue)
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