La vicenda da cui prende le mosse questo commento è notissima, visto il risalto avuto nella stampa internazionale. Col proposito d’impedire una deliberazione parlamentare sull’ipotesi di uscita del Regno Unito dall’UE «senza accordo», il premier britannico Boris Johnson chiese e ottenne dalla Regina un atto di prorogation of Parliament, che sospendesse le attività parlamentari per un intervallo temporale di gran lunga superiore a quello consueto e che sottraesse alle camere cinque settimane di lavori sulle otto che separano dal 31 ottobre, data dell’exit day. I ricorsi, ovviamente, non mancarono. Dopo l’intervento della Divisional Court, che giudicò la questione non ammissibile per via del suo contenuto politico, e quello successivo della Inner House of the Court of Session, che invece fu di avviso opposto, il 24 settembre 2019 si pronuncia in via definitiva la più alta corte del Regno Unito, la Supreme Court of United Kingdom (UKSC), che ritiene giustiziabile la questione e fondate le ragioni dei ricorrenti… (segue)
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