
Con il termine “potere” si indica la capacità di determinazione unilaterale; “in senso specificamente sociale, e cioè in rapporto alla vita dell’uomo in società, il potere si precisa e diventa, da generica capacità di operare, capacità dell’uomo di determinare la condotta dell’uomo”. Se si guarda al potere pubblico in quanto tale, indipendentemente dallo strumento con il quale opera (la mera forza piuttosto che il consenso, il comando puntuale oppure la regola generale, etc.), ciò che rileva è la capacità di essere utilmente esercitato. Il potere non ammette analisi in potenza, ma unicamente in atto e, dunque, ha necessità di esprimersi e di affermarsi nella misura in cui “è in quanto esiste, e, per ciò, la determinazione della essenza del potere si risolve nella determinazione del potere nel suo esistere”. Proprio per questo ordine di ragioni il diritto scompone il potere e lo declina al plurale frazionandolo nell’istante stesso in cui esprime l’ordine giuridico attraverso l’adozione della Costituzione cosicché il potere costitutivo (oltre quello costituente) è sottoposto ad una dinamica di limitazione. Il potere pubblico, nei sistemi istituzionali contemporanei, è limitato in quarto è frammentato e la propria capacità concretamente conformante opera attraverso una pluralità di soggetti e di strumenti stabilizzando il risultato della scissione costituzionale del concetto giuridico (non più unitario) di potere. In queste nostre riflessioni si intende ragionare sull’impatto che le condizioni attuali di formazione e concretizzazione della decisione del potere pubblico hanno sulla dinamica relazionale tra i tradizionali poteri dello Stato (legislativo o meglio normativo, esecutivo e giudiziario); una dinamica, questa, che appare aver abbandonato da tempo una logica di divisione lineare ed essere invece sempre più caratterizzata da uno sviluppo circolare… (segue)
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