
La Corte afferma che la direttiva 2013/32/UE non è incompatibile con una normativa nazionale che preveda per il giudice nazionale la sola possibilità di annullare le decisioni delle autorità nazionali competenti in materia di concessione o revoca della protezione internazionale, senza poterle riformare. Tuttavia, nel caso in cui l’autorità giudiziaria ravvisi che, in base alla suddetta normativa, all’individuo debba essere riconosciuta la richiamata protezione internazionale per i motivi che invoca a sostegno della sua domanda, e l’autorità amministrativa adotti una decisione in senso contrario senza dimostrare l’esistenza di nuovi elementi che giustifichino questa sua decisione, il giudice è tenuto a riformare la decisione dell’autorità amministrativa e sostituire a essa la sua decisione, anche disapplicando la normativa interna. Ugualmente, non è incompatibile con la direttiva richiamata una normativa nazionale che imponga al giudice di decidere entro 60 giorni, purché tale periodo di tempo sia sufficiente al giudice per garantire il rispetto delle norme sostanziali e di quelle procedurali riconosciute al richiedente dal diritto della UE. In caso contrario, il giudice è tenuto a disapplicare la normativa nazionale.
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