Da decenni oramai si discute in Italia delle disfunzioni del nostro problema parlamentare concentrando tutta l’attenzione sulle riforme costituzionali. I temi al centro del dibattito sono il superamento del bicameralismo paritario, il rapporto tra governo e parlamento, l’opportunità di introdurre la sfiducia costruttiva e, più recentemente, le modalità per rimediare alle distorsioni provocate dalla riduzione del numero di parlamentari “tanto per tagliare”, voluta dal Movimento Cinquestelle e accettata passivamente dal resto della maggioranza. Il problema più grave del nostro sistema parlamentare, però, non è il bicameralismo paritario, né tanto meno il numero dei parlamentari. No. Il problema è il metodo. Si lavora senza programmazione, senza orari certi, con continue interruzioni: un modo di procedere inconcepibile in qualsiasi altro ambiente di lavoro e sconosciuto al grande pubblico. Io stesso, quando sono arrivato in parlamento nel 2013, non ne avevo idea. Premetto che non si tratta di un problema nuovo. Si trascina da molte legislature, ma va peggiorando, per colpa di tutti gli attori coinvolti: governo, presidenze delle camere, partiti. Senza un cambio di passo non solo culturale, ma mentale, qualsiasi riforma costituzionale naufragherà sulle pessime abitudini della nostra politica, la prima delle quali è l’assuefazione a questo modo di lavorare assurdo. Per analizzare questo fenomeno oramai generalizzato, può essere utile prendere come esempio l’iter dell’ultimo disegno di legge di bilancio, in corso di approvazione in queste ore… (segue)
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