L’attuale crisi sanitaria dovuta al diffondersi del COVID-19 genera a livello mondiale un’inevitabile situazione di rallentamento economico che, per quanto gestita nella maniera appropriata, sfocerà in una recessione di livelli perfino superiori a quella riconducibile al crack di Lehman Brothers. La sospensione delle attività produttive ed il contemporaneo blocco del commercio internazionale si presentano come elementi inediti e dirompenti in una società globalizzata, fattori che inficiano in modo drastico sulla capacità di creare redditività e di sostenere elevati livelli di occupazione. Il mondo privato, esente in questa circostanza da particolari responsabilità, dovrà essere accompagnato nella propria ripresa dalla mano pubblica la quale, come sostenuto da Mario Draghi sul Financial Times, sarà posta nell’obbligata condizione di assumere su di sé la quasi totalità delle passività derivanti dall’emergenza, con una conseguente espansione dei debiti sovrani. Una rilevante messa in pratica di quanto teorizzato dall’ex presidente della BCE, in effetti, è già arrivata dagli Stati Uniti, dove l’amministrazione ha predisposto, successivamente all’abbassamento dei tassi deciso dalla Federal Reserve, un pacchetto di aiuti economici in favore di cittadini ed imprese dal valore pari a duemila miliardi di dollari. L’Unione Europea dal canto suo si trova pienamente coinvolta nelle problematiche relative alla diffusione del nuovo coronavirus ma, anche in questo frangente, torna a mostrare una struttura fortemente eterogenea che pone interrogativi su quale possa essere la via da perseguire. Il differente livello di indebitamento degli Stati membri continua infatti a dividere i Paesi tra quelli favorevoli ad un’azione finanziaria comune - ovvero, di fatto, quelli che hanno un rapporto debito/PIL elevato - e chi invece propende per una soluzione di carattere nazionale, presentando un quadro di finanza pubblica in linea con i parametri fissati dai Trattati. Questa crisi, rispetto a quella vissuta fra il 2008 ed il 2012, palesa però un livello di criticità sensibilmente maggiore: l’evento attuale, se non gestito nella maniera appropriata, potrebbe comportare un simultaneo aggravamento delle condizioni finanziarie di Paesi già particolarmente esposti sui mercati finanziari con il rischio, dato dall’acuirsi degli spread continentali, di generare una frattura insanabile all’interno dell’UE. Risultano dunque insufficienti, a detta dei Governi delle Nazioni maggiormente indebitate, la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita (già messa in atto dalla Commissione Europea con l’attivazione della “clausola di salvaguardia”) ed un’interpretazione elastica sugli aiuti di stato mentre si paleserebbe la necessità di adottare strumenti innovativi che possano permettere ai 27 Paesi membri di non sprofondare in una nuova spirale recessiva. Da qui si aprono ampie riflessioni sulle strade percorribili, da quelle più lineari a quelle più impervie, un’analisi che deve ovviamente ed inevitabilmente tenere in considerazione i margini operativi concessi dai Trattati in una logica che riesca ad unire fattibilità ed efficacia. Nella giornata del 9 aprile 2020 l’Eurogruppo ha trovato un accordo di massima sulla via da perseguire ma, in merito alla sua messa in atto, permangono ampi margini di manovra su cui possono consumarsi nuove divisioni; Il Consiglio Europeo del 23 aprile ha infatti confermato le linee generali di quella che sarà l’azione comune europea senza però giungere ad una definizione puntuale della stessa, rimandando i punti critici ad una futura analisi affidata alla Commissione. In tal senso dopo una disamina degli organismi attualmente esistenti nell’Unione mirata ad approfondire il potenziale ruolo che questi potrebbero rivestire nei mesi a venire, lo scritto di seguito presentato si pone il fine di vagliare l’eventuale creazione di Coronabond tentando di ponderare la loro fattibilità alla luce della normativa vigente e delle esigenze poste dall’ancora mutevole contesto economico… (segue)