Desidero innanzitutto sinceramente ringraziare gli autori del volume non solo per avermi invitato a presentarlo, ma soprattutto per averlo scritto. Il lavoro offre una ottima rappresentazione e una straordinaria testimonianza di una esigenza assolutamente centrale dell’assistenza sanitaria. Anche il CeSDirSan, di cui sono fondatore e direttore, ha in corso una ricerca sul tema. Dall'esperienza di Tullio Proserpio, cappellano in ospedale, incaricato di questo ruolo vent'anni fa dal cardinale Martini, e di Carlo Clerici, specialista in psicologia clinica e docente alla Statale di Milano, è nato uno studio di grande livello, ma anche di immediata e facile comprensione: una lettura che incuriosisce, appassiona e soprattutto convince. Il connubio tra il profilo medico e quello religioso è sicuramente felice, perché consente un approccio terreno, che si arricchisce però del confronto e delle conferme con la teologia. Gli autori ci ricordano che obiettivo della medicina è realizzare un rapporto di alleanza con il paziente come partner nel processo della cura, con conseguente riconoscimento dell’importanza della storia della malattia del paziente alla luce non solo degli eventi biologici, ma anche della sua esperienza umana. Evidenziando al tempo stesso la difficoltà per i malati e i loro familiari di affrontare gli interrogativi di fondo che la malattia grave inevitabilmente fa sorgere. Perché -come si legge nel primo capitolo- quando si riflette sulla transitorietà dell'esistenza, sul dolore e sulla morte può sopraggiungere l'angoscia, e la medicina e la psicologia offrono solo risposte imperfette a queste domande legate alla condizione umana, rispetto alle quali i pazienti e i familiari quindi trovare un utile conforto nella religione e, più in generale, nella cura dello spirito… (segue)