I dettagli operativi non ci sono ancora e non saranno secondari. L’accordo non ha, almeno per il momento, natura giuridica, come si sono affrettati a dire gli uffici della Commissione europea. L’accordo raggiunto in Scozia tra Ursula von der Leyen e Donald Trump fornisce solo una cornice disegnata unendo pochi, primi punti fermi. Ciò che si sa è che il tetto massimo dei dazi sarà, reciprocamente, del 15%. Meno di quanto annunciato da Trump nel Giardino delle rose e, di media, sotto la media di quanto concordato con singolarmente con gli altri paesi dopo il 2 aprile (10% UK, 15% Giappone e Corea del Sud, 30% Cina), di più dello “zero per zero” sperato dal governo italiano e anche dalla Commissione europea, quantomeno per i beni industriali. Va anche detto che il tetto del 15% è al lordo dell’attuale, che si attesta sul 5%. Questo vuol dire che il dazio medio aggiuntivo è tra il 10 e l’11%. Ulteriore punto dell’accordo è l’acquisto di armi e gas liquido americani. Non si tratta semplicemente di una gentile concessione agli Stati Uniti. L’Europa deve, e forse vuole, avere una sua capacità autonoma di difesa, ma prima di raggiungerla c’è un tempo di transizione nel quale le forniture è razionale che continuo a venire da dove venivano prima, ossia dall’industria statunitense. Quanto al gas liquido, l’alternativa a una totale sostituzione del gas russo non può, non almeno nell’immediato, venire da una produzione domestica, anche fosse, come non è, di energia nucleare, i cui impianti non si costruiscono in poche settimane. Ultimo punto noto è l’impegno dei 600 miliardi di dollari che in cinque anni le imprese europee potranno riversare in investimenti produttivi negli States. Come hanno puntualizzato da Bruxelles, non si tratta di una garanzia ma, trattandosi di spesa privata, solo di una stima auspicata. Il resto dell’accordo è ancora in via di definizione. Intanto, pone già riflessioni e interrogativi di natura legale, istituzionale, politica e economica, a partire dal suo primo, diretto effetto… (segue)
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