Rieccoci, verrebbe da dire. Le cronache giornalistiche riferiscono che il governo avrebbe già pronta una bozza della nuova legge elettorale, destinata a sostituire quella, oggi vigente, con la quale sono stati eletti i parlamentari delle ultime due legislature. E ciò a prescindere e indipendentemente dalla sorte che subirà, nei mesi futuri, l’iter, per ora assai accidentato, del disegno di legge di revisione costituzionale “per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri”, che al momento è fermo dopo l’approvazione del Senato in prima lettura. Anzi, riferiscono le medesime cronache giornalistiche che l’obiettivo della nuova legge sarebbe quello di produrre “sostanzialmente” – e senza l’impaccio di doppie letture e referendum confermativi – i medesimi effetti che le difficoltà in cui versa il percorso politico della revisione costituzionale finalizzata all’introduzione del c.d. “premierato” impedirebbero di raggiungere. Si tratterebbe della quinta riforma del sistema elettorale negli ultimi trent’anni, un record che nessuno dei Paesi di c.d. “democrazia matura” potrebbe invidiarci. E sarebbe la terza volta che la legge elettorale viene modificata nell’ultima parte della legislatura, alimentando il sospetto che talune maggioranze politiche al governo utilizzino ormai con cinica disinvoltura un espediente che un tempo si considerava addirittura contrario al nucleo essenziale del principio democratico: quello di modificare le regole di elezione del Parlamento a ridosso dello scioglimento delle Camere, con lo scopo neppure troppo nascosto di condizionarne politicamente la futura composizione a proprio vantaggio (o comunque di minimizzare gli effetti negativi in caso di sconfitta). Era già successo nel 2006, è nuovamente successo nel 2017. Potrebbe riproporsi nel 2027. Una volta si diceva che le leggi elettorali andrebbero scritte “sotto il velo di ignoranza” in ordine agli effetti che esse sarebbero in grado di produrre sul sistema politico. Lo ha scritto addirittura, non molti anni fa, la Commissione di Venezia in un mai abbastanza valorizzato “codice di buona condotta in materia elettorale” (cfr. il parere n. 190/2002, adottato dalla Commissione il 19 ottobre 2002, e recepito dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sessione del 2003), nel quale si considera indice di scarsa qualità democratica la propensione di un ordinamento a troppo frequenti modifiche della legge elettorale, specie qualora esse siano adottate a ridosso delle scadenze elettorali e siano dirette a introdurre correttivi a specifico beneficio dei partiti al governo, in particolare quando essi... (segue)
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