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NUMERO 22 - 19/11/2008

 La materialità dei simboli

 Ci sono alcuni eventi che, superata la scala dell’ordinario, assumono la peculiarità di un simbolo. Le elezioni dello scorso 4 novembre per eleggere il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, hanno rappresentato in maniera evidente questo passaggio di scala. Oggi, il presidente eletto Barack Hussein Obama trascende il suo stesso ruolo di leader della maggiore potenza planetaria, per assolvere ad una funzione simbolica più generale: essere la cifra riconoscibile dei mantra echeggiati lungo tutto il corso della sua campagna elettorale, “change” e “yes, we can”.
La miglior motivazione per occuparsi di questo evento, gravido di innumerevoli implicazioni sul piano politico e non solo, risiede quindi, a mio parere, in quella offerta dagli scalatori intenti ad aprire una nuova via di risalita: "perché è là". La dimensione del cambiamento è, da sempre, il motore più estremo dell’agire politico. Anche quando non si può misurare (ed è certamente immaturo e velleitario un giudizio fattuale sulla effettiva natura dei cambiamenti che la presidenza di Obama potrà realizzare), il “cambio” attiva energie diverse da quelle attese. Alcuni osservatori, non a caso, prediligono il versante dell’osservazione nell’ambito del consueto. Per costoro Obama è, comunque, figlio di un sistema molto strutturato ed il suo successo tende a confermare la vitalità, la flessibilità di un’architettura sociale e politica capace di rigenerarsi nella continuità della propria esperienza. Ovviamente, un’interpretazione siffatta ha molti argomenti sui quali reggere la tesi di fondo, ossia che è il “modello americano” in sé ad aver trionfato. Ne ha, soprattutto, in ragione di una definizione assiomatica del “sogno americano” incarnato nel “passaggio ad ovest”, nella mitizzazione del successo di un’impresa personale, a dispetto delle condizioni difficili da cui origina.Di converso,come ha acutamente osservato Ida Dominijanni,gli assertori dei disastri della americanizzazione” (esclusione dalla sfera della partecipazione pubblica di settori sempre più vasti di società, funzione demiurgica delle leadership mediatiche, peso enorme degli interessi delle lobby economiche nelle scelte dei governi) tendono a mettere in guardia dagli eccessivi entusiasmi e, nella sostanza, ritengono anche Obama un’increspatura sull’onda di “lunga durata” della globalizzazione capitalistica. 

(segue)



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