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FOCUS - Statuti regionali

 Il nuovo Statuto della Regione Campania: gli istituti di partecipazione

La partecipazione è un mito politico mobilitante, la cui emersione da noi è antica. Anche limitando lo sguardo al solo secolo appena trascorso, la dottrina giuspubblicistica italiana della tarda età liberale (Romano, Capograssi ed altri) mantenne al riguardo un atteggiamento ambivalente, di diffidenza verso un fattore di dinamica sociale che poteva rompere l’unità faticosamente conquistata dall’allora giovane Stato nazionale, ma in taluni studiosi anche di favore verso la valorizzazione del pluralismo organizzato (leghe operaie, sindacati, partiti, vario associazionismo, cooperative), al fine di rinnovare l’ormai esausta ed elitaria rappresentanza politica. Attacchi e censure vennero in questi anni all’assetto tradizionale dei poteri costituiti tanto da destra (da parte dei fasci di combattimento), quanto da sinistra (in nome della democrazia consiliare).
Il fascismo al potere si resse com’è noto su un partito unico, integrato da un articolato associazionismo collaterale, facendo di questi gli strumenti di partecipazione autoritaria e guidata delle masse al prefigurato rinnovamento dello Stato.
La Repubblica - dal suo canto - rappresentò in questo senso, vale a dire nel mantenere un ruolo fondamentale al partito politico, un elemento di continuità con la precedente esperienza storica, pur nel mutamento profondo dei valori di base e del complessivo modello costituzionale, fondato tra l’altro anche sull’ intervenuto pluralismo partitico e la traiettoria intellettuale di Costantino Mortati (tra conferme di fondo e variazioni di pensiero, al cospetto della nuova realtà) è per esempio molto indicativa, al riguardo: l’Italia è stata cioè essenzialmente - e sia pure in misura palesemente minore rispetto a prima lo è ancora oggi - una Repubblica dei partiti, secondo la celebre formula di Pietro Scoppola.
La crisi di questo schema, che si manifesterà in pieno solo in seguito, incomincia invero già alla fine degli anni ’60: la partecipazione nei - e attraverso i - partiti e il sindacato continua, ma al tempo stesso si crea un circuito autonomo e potenzialmente alternativo per esercitarla. Prendono ad esempio avvio effettivo le regioni ordinarie, con la connessa diversificazione degli indirizzi politici rispetto a quello centrale, si sperimentano nella loro prima stagione statutaria innovazioni istituzionali (in primo luogo dove la tradizione civica - per stare alla nota immagine di Putnam - è più forte: Lombardia, Triveneto, Emilia e Romagna, Toscana), si disciplina il referendum abrogativo, di cui viene compiuta una quasi immediata utilizzazione per campagne mirate di domande collegate tra loro nell’esperienza dei radicali, strategia in seguito ereditata, com’è noto - anche se con opposti obiettivi di merito - dal mondo culturale organizzato di ispirazione cattolica, influenzato soprattutto (negli tempi a noi più vicini) dall’attivismo della Conferenza episcopale italiana.

(segue)



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