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NUMERO 8 - 22/04/2009

 Linguaggio costituzionale e integrazione europea

Tra gli obiettivi dell’Unione vi è quello del rispetto della “ricchezza della sua diversità culturale e linguistica”, così come della salvaguardia e dello sviluppo del “patrimonio culturale europeo” (cfr., da ultimo, l’art. 3 della vers. cons. Trattato UE): a ciò corrisponde, sul diverso piano della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive, com’è noto, il diritto di ogni cittadino dell’Unione di rivolgersi alle istituzioni comunitarie nella propria lingua e di ricevere una risposta nella stessa lingua (art. 24 della vers. Cons. Trattato sul funzionamento dell’UE).
Il mantenimento della diversità del patrimonio culturale e linguistico esistente negli Stati membri (nei quali, per altro, l’attenzione alla salvaguardia della lingua nazionale non ha perso d’attualità) contribuisce a configurare quel profilo identitario dell’Unione, che sottrae dal processo d’integrazione gli elementi più fortemente connotativi dei popoli europei, quali sono le rispettive matrici culturali e linguistiche.
Il pluralismo linguistico assurge, pertanto, ad uno degli elementi qualificanti dell’ordinamento comunitario. Non bisogna dimenticare che gli Stati europei si sono consolidati sulla base della concezione della nazionalità, la quale faceva derivare da una serie di elementi naturali e fattuali, tra i quali anche la comunanza di linguaggio, la “natura” propria di ciascun popolo e, quindi, “una più intima comunanza di diritto, impossibile ad esistere tra individui di Nazioni diverse”.
Lungo il cammino dell’integrazione le diversità linguistiche perdono il carattere di “strumento costitutivo delle nazioni”, presentandosi piuttosto come fenomeno storico-naturale da mantenere e salvaguardare; dunque, non più motivo di separazione dei popoli europei ed ostacolo all’unione di essi. Nel nuovo contesto occorre, quindi, precisare meglio in quale prospettiva la diversità e pluralità delle lingue attraversa l’esperienza del diritto costituzionale europeo.
Il diritto costituzionale, nello spazio europeo, si deve a statualità e sovranità indirette e riflesse. Il potere supremo che viene esercitato dagli organi istituzionali dell’Unione è il frutto dell’intesa intervenuta tra gli Stati aderenti in ordine ad un esercizio condiviso di parte della loro sovranità nazionale. In tale ambito, il “diritto costituzionale europeo” va distinto dal “diritto costituzionale comune”, che del primo è tuttavia parte integrante.
Il diritto costituzionale comune deriva dall’esistenza di un sostrato politico-istituzionale omogeneo e raccoglie i principi cardine del costituzionalismo europeo (si pensi, fra gli altri, al principio democratico, di legalità, dello Stato di diritto, ai diritti fondamentali, più di recente al principio del decentramento politico), sui quali gli Stati membri si riconoscono saldamente anche sul piano lessicale, in quanto appartenenti al rispettivo patrimonio storico ed istituzionale e fatti oggetto, adesso, di un apposito riconoscimento normativo (art. 6 TUE) che intende rendere manifeste, in definitiva, le basi fondamentali su cui poggia l’intera impalcatura sopranazionale.

(segue)



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