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NUMERO 17 - 22/09/2010

 Le coppie omosessuali fra il vincolo (elastico?) delle parole e l'artificio della 'libertà'

Scriveva Giovanni Testori che le parole hanno una loro forza irriducibile, proveniente dal significato cui rinviano e dall’esperienza che inverano, che non può essere ignorata (“Ciò che importa è dirle, certe parole. / Una volta dette / non lasciano più pace…”). Ciò a meno di non stravolgere la realtà sottesa alle parole stesse e di misconoscerne la storia di provenienza, sino ad esporsi al peso delle relative conseguenze (in tal caso “anche le parole, sì, anche loro / ci punteranno contro il dito!”).
Come per le parole è anche per gli istituti giuridici, posto che, riprendendo la lezione di Costantino Mortati , il fenomeno giuridico rappresenta su scala sociale la proiezione del fenomeno individuale. Anche gli istituti giuridici restano vincolati alla storia che li ha generati e alle necessità sociali interessate: non può esserne ignorata la realtà di riferimento, né è possibile estenderne indiscriminatamente i confini semantici, quasi a poterli trasformare in contenitori senza vincoli di forma e di capienza.
Orbene, questo caposaldo del vivere umano emerge anche dalla lettura della sentenza n. 138/2010 della Corte costituzionale in tema di unioni omosessuali, nonché dalla successiva ordinanza n. 276/2010. Con tale pronuncia la Consulta ha sventato l’attacco della indiscriminatezza senza limiti, della parificazione indifferenziata, dell’egualitarismo a tutti i costi delle parole, dei significati, degli istituti e delle realtà sociali, che restano invece differenti per storia e presupposti naturali... (segue)
 
 



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