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di Federica Mannella
Giudice comune e Costituzione: il problema dell'applicazione diretta del testo costituzionale
La rilevanza del rapporto che intercorre tra giudice comune e Costituzione, intesa quest’ultima come materiale normativo da interpretare e applicare, è questione molto nota e che, tra l’altro, trova ormai concordi, anche se con differenti percorsi argomentativi, tutti coloro che si sono trovati ad analizzare il ruolo del giudice nell’evoluzione dell’assetto costituzionale. A tal proposito si è parlato, sempre più di frequente, di “applicazione diretta” della Costituzione da parte del giudice, volendo racchiudere in tale sintagma non solo le questioni sorte al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, quali le peculiari caratteristiche del testo costituzionale ed, in particolare, il dibattito intorno alla natura precettiva o programmatica delle norme costituzionali, nonché quello parallelo in merito al riconoscimento di una possibile vis abrogativa della Costituzione (e, di conseguenza, anche di eventuali revisioni costituzionali) rispetto alla legislazione anteriore che risulti in contrasto, ma anche la tematica relativa alla possibile applicazione diretta della sola disposizione costituzionale che sia sufficiente, da sé, per il riconoscimento di un diritto e la conseguente risoluzione di una controversia, come anche la possibilità di utilizzare le norme costituzionali per il riconoscimento di regole da applicare nei rapporti tra privati (c.d. Drittwirkung). In relazione ai diversi profili di individuazione di una possibile applicazione diretta della Costituzione, intesa cioè, più latamente, come strumento normativo utilizzato dal giudice, si devono aggiungere, poi, le problematiche relative alla c.d. interpretazione conforme a Costituzione o adeguatrice che ormai i giudici devono sempre compiere, soprattutto a seguito dell’indicazione “obbligata” della Corte costituzionale, la quale, pertanto, sembrerebbe arrivare a configurare in capo agli stessi un vero e proprio <<potere di applicare direttamente le norme costituzionali come “criteri interpretativi” delle leggi>> (corsivo aggiunto), in un’ottica giustificata, quanto meno e se non altro, dalla necessità di una coerenza interna che ogni ordinamento richiederebbe, sempre e comunque, tramite il mezzo dell’interpretazione sistematica. Non si può ignorare, del resto, nel contesto dell’applicazione diretta, il rapporto tra giudice comune e Corte costituzionale in ordine alla delimitazione dei rispettivi e reciproci ruoli e funzioni, soprattutto se si considera la frequente osservazione secondo cui l’obbligo di interpretazione conforme rilascerebbe in mano al giudice una sorta di “controllo diffuso di costituzionalità”, laddove, scegliendo la propria interpretazione costituzionalmente orientata ed evitando, in tal modo, il ricorso alla Corte, la norma prescelta per la risoluzione del caso resterebbe, di fatto, svincolata dal controllo di costituzionalità accentrato... (segue)
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