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di Cristina Bertolino
Il diritto di petizione negli Statuti regionali. Un istituto obsoleto o nuove ipotesi di sua utilizzazione?
Il diritto di petizione, istituto di partecipazione popolare, consiste nella “facoltà di adire un’autorità al fine di rappresentare determinate esigenze o di sollecitare l’adozione di particolari provvedimenti”.
Viene peraltro esercitato raramente a livello nazionale, tanto che la dottrina maggioritaria lo considera istituto oramai desueto, soprattutto a causa dell’emergere di nuovi e più efficaci strumenti – rispetto a quelli vigenti nel periodo di entrata in vigore della Costituzione italiana – attraverso i quali è possibile per la comunità sociale e per il singolo cittadino comunicare, fare pressioni e avere un più efficace collegamento con le istituzioni.
Sebbene non vi sia alcuna disposizione costituzionale che preveda l’istituto nell’ordinamento regionale, il diritto di petizione ha tuttavia trovato ampio riconoscimento negli Statuti regionali, i quali lo hanno espressamente disciplinato, sin dalla loro prima stagione, tra gli istituti di partecipazione popolare.
L’art. 123 della Costituzione sancisce, quali contenuti necessari della fonte statutaria, sia l’iniziativa che il referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione. L’aver omesso nella Carta costituzionale il diritto di petizione a livello regionale ha fatto dunque sorgere il dubbio della sua legittimità. La dottrina maggioritaria ritiene che, se da un lato se ne deve dedurre che tale istituto non è costituzionalmente garantito a livello regionale, dall’altro le Regioni lo possono includere – così come hanno fatto – tra i contenuti ulteriori degli Statuti, non essendovi alcuna disposizione che ne vieti espressamente l’inserimento... (segue)
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