
“Scotland Decides”, “Choose Well Scotland”, “Day of Destiny”, “D-Day for the Union”: questi i titoli delle prime pagine di alcuni quotidiani britannici del 18 settembre 2014, giorno in cui i cittadini scozzesi hanno scelto, con il 55,3% di No, di rimanere parte integrante del Regno Unito. L’elettorato era stato esteso a tutti i residenti in Scozia che avevano compiuto 16 anni di età: 4.285.323 persone, il 97% degli aventi diritto, si sono registrati per partecipare alla consultazione referendaria, numeri che testimoniano il forte coinvolgimento dei cittadini. Di particolare rilievo anche il dato dell’affluenza alle urne, che è stata elevatissima, l’84,6%, risultato che appare ancor più sorprendente se confrontato con i valori di affluenza – sempre poco elevati – raggiunti alle elezioni per il parlamento di Holyrood, a partire dal 1999. Un sospiro di sollievo sembra levarsi ovunque, dall’Europa agli Stati Uniti, e la vittoria del No ha fatto volare anche le borse europee e la sterlina. La prevalenza del Sì non avrebbe comportato, comunque, l’immediata indipendenza della Scozia, ma avviato un complessa fase di negoziazione tra i due governi. D’altro canto, il successo del No non significherà il mantenimento dello status quo, ma porterà – secondo quanto promesso e ribadito con enfasi dai politici britannici all’indomani del referendum - a cambiamenti non solo per la Scozia, ma per l’intero Regno. Per comprendere a pieno tale risultato appare necessario esaminare il percorso che ha condotto al referendum per l’indipendenza... (segue)
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