
Può destare una certa impressione che gli interventi legislativi sulla giustizia militare siano ormai dettati unicamente da iniziative intraprese nell’ambito del Ministero dell’economia. E’ già successo nel 2007, quando, con la legge finanziaria di quell’anno, le strutture e gli organici dell’apparato giudiziario militare vennero drasticamente ridotti (gli organi di appello da tre a uno, i tribunali da nove a tre, i magistrati militari da 103 a 58) e stava per succedere anche alla fine del 2014, ad opera della legge di stabilità, se non fosse intervenuto il provvedimento del Presidente della Camera a stralciare, per motivi tecnici, da quel treno in corsa le progettate norme riguardanti la materia e a formare un autonomo disegno di legge che è stato riavviato nei consueti binari parlamentari. E’ per effetto dello stralcio, che, insieme ad una molteplicità di iniziative parlamentari di contenuto analogo, giace ora alla Camera il d.d.l. governativo n. 2679-undecies, intitolato a «modifiche al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e al codice penale militare di pace in materia di ordinamento giudiziario militare», che risulta “presentato” – per l’appunto – dal Ministro dell’economia e delle finanze. Inutile dire che tale testo, come vedremo, prevede un ulteriore dimagrimento delle strutture e degli organici della giustizia militare. In effetti, la giustizia militare, quasi mai coinvolta dai lavori parlamentari aventi ad oggetto la giustizia penale o l’ordinamento militare, e – anzi – quasi sempre “dimenticata” dalle riforme che hanno interessato entrambi i settori, vaga da decenni come uno zombie, completamente inaridita e dissecata, abbandonata in una riserva in attesa che il pensionamento dell’ultima generazione dei magistrati militari che la popolano ne decreti di fatto l’estinzione. Sono distantissimi i tempi in cui la materia divideva la politica, appassionava intelletti e dottrina, promuoveva “battaglie” culturali involgenti dogmi e concetti. Dalle tinte accese dei dibattiti ideologici all’odierna temperie dominata dalle esigenze di bilancio: forse, la derubricazione a mera vicenda di “spesa pubblica”, di competenza del Ministro dell’economia, neppure deve essere così sorprendente, rappresentando, anche simbolicamente, l’epilogo amaro ma forse inevitabile di una storia ingloriosa, artificialmente innescata dalla scelta “innaturale” del mantenimento operata dal Costituente e successivamente alimentata da disinteresse politico, da calcoli opportunistici e dalla proverbiale ignavia legislativa... (segue)
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