Con la sentenza n. 50 del 2015, caratterizzata da argomentazioni per lo più improntate a spartana laconicità, la Corte costituzionale ha respinto tutte le questioni di legittimità sollevate da quattro Regioni nei confronti della cosiddetta "legge Delrio". Quindi, è stata dichiarata immune dai vizi di costituzionalità prospettati la riforma delle autonomie territoriali che è stata approvata nel corso della presente legislatura per realizzare i tre seguenti obiettivi: l'immediata istituzione di dieci Città metropolitane in sostituzione delle corrispondenti Province; la trasformazione dell'assetto organizzativo e funzionale della Provincia, dotata di organi non più eletti a suffragio diretto, ma costituiti esclusivamente dai titolari degli organi di livello comunale, e con competenze in parte ridefinite a fini di unitarietà dallo Stato (quelle "fondamentali") e per il resto (quelle "non fondamentali") individuate in modo variabile dalle singole Regioni; e la diffusione, anche mediante disposizioni di carattere cogente, dell'esercizio associato delle funzioni comunali. In vero, si tratta di obiettivi che nel frattempo si sono in parte concretizzati in sede applicativa, seppure condizionati da successivi interventi legislativi che, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti finanziari e il personale pubblico, hanno rovesciato l'originaria prospettiva. Infatti, mentre la legge Delrio prevede un procedimento di riorganizzazione che, partendo dall'istituzione dei nuovi enti intermedi - le Città metropolitane - e dalla ridefinizione delle funzioni delle Province, si debba poi concludere con la riallocazione delle relative risorse e del corrispondente personale, la legge di stabilità per il 2015 - anche per conseguire effetti di risparmio della spesa pubblica rapidamente percepibili anche in sede europea - ha repentinamente introdotto un procedimento obbligatorio per lo spostamento del personale provinciale in connessione all'imposizione della riduzione della relativa spesa del 50% per le Province e del 30% per le Città metropolitane. Sicché la definizione del conclusivo assetto funzionale di questi "nuovi" o comunque "trasfigurati" enti intermedi è divenuta una variabile conclusivamente dipendente da fattori esogeni, ovvero, in breve, le risorse rese disponibili a seguito dalle riduzioni imposte dallo Stato, e il personale che residuerà dalle procedure di mobilità verso le altre pubbliche amministrazioni. E di ciò è piena testimonianza il travagliato percorso sia delle leggi regionali di attuazione cui spetta ridefinire compiutamente il quadro delle funzioni degli enti intermedi, sia degli statuti delle Città metropolitane neo-istituite. Soprattutto per le Province, potrebbe assistersi ad una sorta di inseguimento al ribasso, dove, in fin dei conti, le funzioni sarebbero conclusivamente determinate sulla base delle risorse - sempre meno disponibili - e del personale che residuerebbe. In definitiva, con l'innesto operato dalla predetta legge di stabilità si è dato avvio ad un meccanismo che, subordinando la configurazione funzionale dell'ente di area vasta (Provincia e Città metropolitana), a variabili non dipendenti dall'ente medesimo ma discrezionalmente stabilite da altri livello di governo, finisce per comportare una notevole contrazione dell'autonomia di "poteri e funzioni" pur costituzionalmente riconosciuta agli enti in questione ai sensi dell'art. 114, comma 2... (segue)
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