L’esistenza nel nostro Paese di più giurisdizioni appare essere il presupposto più forte per l’uso di categorie giuridiche diverse e piuttosto autoreferenziali ad opera appunto dei vari giudici, quasi si trattasse di saperi differenziati, specie in un tempo in cui l’attenzione in ordine alla produzione del fenomeno giuridico è rivolta soprattutto al ruolo della giurisprudenza. La circostanza che la stessa Costituzione utilizzi le nozioni di diritto soggettivo ed interesse legittimo, e che riconosca oltre quella ordinaria le giurisdizioni amministrativa, contabile e militare, ha di fatto comportato che l’intero sistema di organizzazione giudiziaria esistente nel 1948 sia stato quasi cristallizzato e legittimato per il futuro, paradossalmente bloccando un sistema che, invece, ad esempio nel campo dei rapporti tra cittadini ed amministrazione si era sviluppato per stratificazioni e sovrapposizioni, dall’iniziale assunto di unità della giurisdizione voluto da Mancini, alla regolazione dei conflitti di attribuzione nel 1877, alle riforme crispine del 1889-1890, alla specificazione del carattere giurisdizionale delle decisioni del Consiglio di Stato solo nel 1907, all’istituzione della giurisdizione esclusiva nel 1924, e così via. Lo stesso è da dire per la giurisdizione contabile, estesa oltre ogni previsione dai più recenti interventi legislativi. Si tratta di vicende note, ma non si insiste mai abbastanza sul fatto che le categorie giuridiche sono state elaborate a partire dall’organizzazione giudiziaria. Alla fine non vale nemmeno ricordare S. Spaventa ed il suo famoso discorso di Bergamo del 7 maggio 1880, giacché esso muoveva appunto da «la necessità di avere veri giudici e veri giudizi di diritto pubblico in tutte le sfere della nostra amministrazione». Semmai, è da lamentare che si sia tradita l’ispirazione spaventiana tesa a lamentare il «pericolo che corrono le nostre istituzioni per causa della ingerenza indebita dei deputati nell’amministrazione dello Stato, e alla necessità di porvi riparo» e ad assicurare quindi la maggiore imparzialità dell’amministrazione: ancora di recente si è lamentato che le cd riforme «sono spesso il frutto dell’opera di gabinetti ministeriali in cui lavorano (oltre a cosiddetti esperti assunti senza concorso) magistrati consiglieri di stato e della corte dei conti, occupati ad applicare leggi, ad interpretarle per i bisogni contingenti, o a scriverne di nuove sempre per le esigenze del momento: in ogni caso a configurarsi ulteriori spazi di intervento», e si è contestato il circolo vizioso tra produzione normativa e sua applicazione, che elude il principio di separazione dei poteri pur da affermarsi a base di un ordinamento democratico che vuole assicurare l’indipendenza del potere giudiziario. Allora, che i signori del diritto – per riprendere una terminologia abusata – siano diversi ha effetti anche sotto il profilo delle categorie giuridiche utilizzate... (segue)
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