La legge costituzionale su cui ci pronunceremo in sede di referendum è stata criticata su due fronti: da una parte ridurrebbe gli spazi di democrazia, dall’altra introdurrebbe più complicazioni di quante ne elimini. Per la verità i due ordini di critiche non sono compatibili, poiché “l’uomo solo al comando” è tale solo quando non incontra ingombri istituzionali sul suo cammino. E viceversa: se si dice che la riforma complica i processi decisionali, come si fa a dire che riduce i contrappesi a vantaggio di un leader? Proprio per questo, diventa indispensabile esaminare separatamente i due ordini di obiezioni. La riduzione della democrazia è per la verità quasi sempre riferita non alla riforma costituzionale in quanto tale, ma al fatto che entrerebbe in vigore contestualmente a una legge elettorale che alla Camera introduce un sistema maggioritario che assegna un premio in seggi alla lista che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti, o diversamente la maggioranza assoluta nel turno di ballottaggio. Sarebbe questo l’elemento cruciale della “personalizzazione”, solo facilitato ma non di per sé determinato dalla eliminazione dell’obbligo per il Governo di ottenere la fiducia del Senato. Una riforma della Costituzione, che dovrebbe durare oltre le stagioni politiche, è cosa diversa da una semplice riforma della legge elettorale. Certo è che veniamo da ventidue anni di maggioritario, undici dei quali con premio di maggioranza. La differenza è che l’Italicum assegna il premio alla lista, non anche a una coalizione di liste (il che significa impedire la frammentazione delle maggioranze che ha caratterizzato la seconda non meno della prima fase della Repubblica), e lo assegna a condizione che abbia ottenuto una soglia abbastanza ragionevole come il 40% dei voti o la metà più uno dei voti al ballottaggio. Sulla legittimità costituzionale di questa scelta si pronuncerà come è noto la Corte costituzionale: tutto dipenderà da come valuterà le innovazioni della riforma elettorale rispetto alle disposizioni della legge del 2005 che hanno formato oggetto di annullamento con la sent.n. 1 del 2014. Per il resto, si dice, l’Italicum favorisce la personalizzazione della politica, svilendo la partecipazione. Il fatto è che la politica è già personalizzata e verticalizzata: un sistema proporzionale puro equivarrebbe oggi a una competizione fra quattro o cinque capi anziché fra due, col solo risultato di rendere precaria qualsiasi maggioranza. Se si vuole, come è giusto, un ritorno alla politica partecipata, non è al sistema elettorale che si deve guardare. Quanto all’obiezione che la riforma, eliminando l’elezione popolare diretta del Senato, contrasterebbe in quanto tale col principio di sovranità popolare, ricordo che nella lunga esperienza costituzionale che abbiamo alle spalle la tesi che il bicameralismo perfetto (e la forma di governo parlamentare) dovessero ritenersi sottratti a revisione costituzionale in quanto coessenziali all’art. 1 Cost. ebbe un isolato e contestato sostenitore nel Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel suo messaggio alle Camere del 1991, che non a caso auspicava l’indizione di un’Assemblea Costituente. Non mi risulta che un costituzionalista abbia mai affermato una tesi simile... (segue)
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