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La conferenza di servizi rappresenta uno degli istituti relativi all’attività amministrativa in cui l’esigenza di semplificazione e quella della completa ponderazione degli interessi sensibili si confrontano alla ricerca di un adeguato punto di equilibrio in un contesto di continue modifiche normative che, fino a ora, non hanno permesso all’istituto stesso trovare un assetto stabile. Sono, infatti, oramai innumerevoli le modifiche apportate alla sua originaria disciplina contenuta negli artt. 14 e ss. della legge n. 7 agosto 1990, n. 241. Basti pensare che in meno di due anni si sono registrate due importanti novelle: quella del decreto “Sblocca Italia” (l’articolo 25, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), superata dal d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127 appena pubblicato che, in attuazione della legge di delega 7 agosto 2015 n. 124, modifica radicalmente il capo della legge n. 241/1990 dedicato alla conferenza di servizi. La conferenza di servizi ha rappresentato una autentica rivoluzione nel modo di concepire l’azione della pubblica amministrazione configurandosi come simbolo della modificazione dei consueti paradigmi del diritto amministrativo. Tale istituto ha profondamente innovato le modalità attraverso le quali le pubbliche amministrazioni determinano la loro volontà provvedimentale alterando la tradizionale regola dell’esercizio dei poteri discrezionali; essa ha, inoltre, avuto come obiettivo quello di adeguare la funzionalità dell’amministrazione alla “sfida della complessità”, con l’evidente scopo di snellire i tempi della procedura concentrandone l’esito in un unico provvedimento. Ma proprio tali innovative caratteristiche sono state causa della vita travagliata della conferenza di servizi. Infatti, si è dimostrato estremamente difficoltoso prevedere efficaci meccanismi di coordinamento e composizione delle posizioni delle pubbliche amministrazioni coinvolte nei complessi procedimenti amministrativi in conferenza di servizi. Da ciò sono derivate le numerose incertezze normative in relazione alla individuazione delle modalità per la conclusione della conferenza e per il superamento dei dissensi espressi dalle amministrazioni interessate. Si è passati dal principio dell’unanimità - da un lato estremamente rispettoso del valore di ogni interesse rappresentato dalle amministrazioni invitate alla conferenza, dall’altro estremamente rigido, tale da ridurre sensibilmente l’operatività dell’istituto, in quanto attribuiva a qualsiasi amministrazione il potere di veto in relazione alla decisione da prendere - al principio della maggioranza - che aveva il pregio di sbloccare il meccanismo decisionale ma nello stesso tempo il difetto di consentire a pubbliche amministrazioni portatrici di interessi non particolarmente qualificati di prendere il sopravvento e orientare la decisione della conferenza – fino ad arrivare alla individuazione del criterio della prevalenza riferito al tipo e all’importanza delle attribuzioni di ciascuna amministrazione con riferimento alle questioni oggetto del procedimento. Quest’ultimo rappresenta un buon punto di equilibrio che non ha subito modificazioni a opera del decreto legislativo di riforma (art. 14 ter, comma 7, legge n. 241/1990)... (segue)
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