L’appalto pre-commerciale rappresenta uno di quei contratti atipici della pubblica amministrazione, di origine straniera, che sembra costituire uno strumento negoziale di particolare interesse ed, allo stesso tempo, suscitare non poche riserve sulla sua effettiva utilità. Con l’intento di fornirne un primo inquadramento, ci si muoverà nell’analisi di questo contratto, innanzitutto, mettendo in luce il retroterra culturale che ne ha supportato la larga affermazione. Poi si avrà cura di evidenziarne i profili strutturali e, soprattutto, di delineare il contesto funzionale al corretto governo del contratto da parte del soggetto pubblico. Infine si raccorderà il particolare al generale, cercando di ordinare la fattispecie attraverso le categorie del partenariato pubblico-privato. L’interesse per questo contratto nasce dalla facile constatazione che è qualcosa di ampiamente trascurato, soprattutto nella prassi delle amministrazioni, la correlazione che, invece, può instaurarsi, in maniera del tutto feconda, tra l’innovazione, da intendersi come la capacità di sviluppare nuovi prodotti o nuovi processi, e il settore degli appalti pubblici. Nel nostro ordinamento l’attenzione in materia, per tradizione risalente, è stata riservata, in generale, ad aspetti ben differenti, quali la regolazione amministrativa di settore, il contrasto alla corruzione nelle stazioni appaltanti, la razionalizzazione della spesa pubblica ed il tema, denso anche di un risvolto politico-ideologico, della scelta tra l’intervento (diretto) del pubblico o l’affidamento ai privati della fornitura di beni, servizi e lavori. Ma tra tutte le possibili sfumature cui la pur complessa materia dà adito, non ha costituito nel tempo un “tema sensibile” quello della possibilità e della capacità delle pubbliche amministrazioni di stimolare investimenti nella ricerca al di fuori dei canali tradizionali (centri di ricerca e istituzioni universitarie), di identificare e creare nuovi mercati, di veicolare soluzioni innovative nei servizi pubblici per ottimizzarne i benefici e razionalizzarne i costi ed, in generale, di implementare il livello di benessere della comunità. Tutti questi obiettivi, scarsamente e di rado, hanno trovato accoglienza nei piani programmatici delle pubbliche amministrazioni in stretta connessione con il tema degli appalti pubblici. In realtà in ambito anglosassone sono da farsi risalire agli anni ’70 i primi studi economici che hanno messo in luce e posto i fondamenti di quell’orientamento che successivamente si sarebbe consolidato sotto l’espressione del Public Procurement for Innovation (c.d. PPI). In estrema sintesi, il dato più significativo, che è risultato da questi studi di natura empirica, è stato quello di rilevare che nelle politiche per l’innovazione l’incentivo più efficiente ed efficace non provenisse dai sussidi pubblici, bensì dal particolare ruolo che le commesse pubbliche potevano assumere sul lato della domanda, ma soprattutto sul versante della capacità di interazione tra domanda e offerta. Da queste osservazioni è fiorito, successivamente, un cospicuo filone di indagini che ha rilevato e circoscritto le ragioni che presiedono al fenomeno della domanda pubblica quale strumento di politica dell’innovazione. Queste possono essere condensate sotto tre aspetti principali: la capacità di definire dei mercati guida, la capacità di rimediare ai fallimenti di mercato e di sistema nello sviluppo di prodotti innovativi e l’attitudine ad implementare le public missions delle amministrazioni pubbliche. In effetti, in ragione della logica connessa alla cura dell’interesse collettivo, è stato constatato che il settore pubblico ha una maggiore propensione ad assumersi i rischi connessi all’utilizzo di tecnologie non consolidate, che possono non offrire il massimo livello di efficienza o possono creare notevoli disagi a livello operativo. Poi ci sono da considerare tutte le problematiche connesse agli alti costi iniziali o ai costi di transizione e alle incertezze legate al mercato di riferimento, soprattutto se questo è rappresentato solo da soggetti pubblici. Infine c’è da rilevare il fatto che non tutti i bisogni, che beneficerebbero di gran lunga di risposte e soluzioni innovative, si traducono automaticamente in domanda perché questa viene articolata e mediata dalla logica di mercato... (segue)
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