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NUMERO 15 - 26/07/2017

 Stabilità degli incentivi alle fonti rinnovabili e potere rimodulativo del Legislatore

La vicenda in esame trae origine da sessantatre ordinanze, adottate dal Tar del Lazio, Sezione III-ter, all’esito di altrettanti giudizi amministrativi, radicati a seguito della richiesta di annullamento, da parte di imprenditori (o società) titolari di impianti fotovoltaici con potenza superiore a 200 kW, di due decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che disciplinavano, in attuazione del suddetto art. 26, comma 2, del d.l. 91/2014, l’applicazione di una tariffa incentivante di importo nettamente inferiore a quanto previsto dal precedente regime. E’ importante fin da subito evidenziare l’elemento di novità insito nella scelta operata dal Giudice amministrativo, il quale, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, pare suggerire un nuovo metodo di analisi della correttezza e della legittimità di tali regimi incentivanti, che focalizza l’attenzione sulla fonte giuridica da cui questi ultimi promanano, ossia sulla legge di incentivazione, piuttosto che sui provvedimenti ministeriali del 2014, i quali ne costituiscono unicamente la misura attuativa. La scelta strategica di affidare la soluzione del problema al Giudice delle leggi nasce, infatti, dal tentativo di individuare un regime giuridico in grado di limitare la discrezionalità del Legislatore nel rimodulare, in senso peggiorativo, le tariffe incentivanti in questione. Il Tar del Lazio ha presumibilmente agito in considerazione della circostanza che, qualche anno prima, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, a cui era stato chiesto di pronunciarsi in merito alla legittimità di un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che disciplinava anch’esso l’applicazione di una tariffa incentivante, aveva avuto modo di escludere la violazione, da parte del decreto stesso, del principio di irretroattività, sul presupposto della natura meramente interpretativa (e non innovativa, così come prospettato dal Giudice di primo grado) del provvedimento ministeriale impugnato. Sicché, il Giudice di prime cure, conscio di tale precedente giurisprudenziale, ha probabilmente cercato di scavalcare il problema relativo alla qualificazione giuridica dei decreti ministeriali del 2014, mettendo in dubbio la legittimità costituzionale del decreto-legge a cui essi danno attuazione. La vicenda in esame rappresenta, quindi, l’occasione per avviare una riflessione relativa alle leggi di incentivazione economica e al loro regime giuridico, soprattutto in termini di efficacia temporale delle misure incentivanti che da esse derivano. Invero, con la sentenza in esame la Corte costituzionale si pronuncia in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio, Sezione III-ter, con riferimento all’art. 26, del d.l. n. 91 del 2014, commi 2 e 3 (così come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014), che, in aderenza agli obblighi previsti dalla normativa europea,  ridefinisce, in senso peggiorativo per gli operatori del settore, le modalità e le tempistiche con cui il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. (d’ora in avanti: G.S.E.) provvede all’erogazione degli incentivi per la produzione di energia termica, derivante da impianti solari fotovoltaici di potenza superiore a 200 kW. Il sopra cit. art. 26, infatti, nella ricostruzione operata dal Giudice amministrativo, finirebbe per incidere in maniera eccessivamente negativa sulle posizioni giuridiche facenti capo ai soggetti (o alle società) titolari dei suddetti impianti fotovoltaici, dal momento che, in base al comma primo, il G.S.E. dovrebbe versare ai titolari stessi un acconto, con rate mensili costanti, su base annua, pari al 90% della producibilità media annua stimata per ogni impianto ed un conguaglio, entro il 30 giugno dell’anno successivo, in relazione alla produzione effettiva e non più in relazione alla produzione presunta; in base al comma terzo, invece, gli incentivi destinati ai soli impianti di potenza superiore a 200 kW sarebbero “spalmati” su un periodo di 24 anni, anziché, come attualmente previsto, di 20 anni, con conseguente drastica riduzione delle tariffe incentivanti stesse. In particolare, secondo un’ormai nota interpretazione dottrinale, tale categoria di leggi godrebbe di una tutela costituzionale c.d. “rinforzata”, in quanto fornita di un solido fondamento costituzionale, rappresentato dagli artt. 3, 25, comma 1, e 41 della Costituzione, il quale vieterebbe di abrogare retroattivamente le leggi in questione ed altresì di assoggettare unilateralmente i destinatari delle stesse ad oneri più gravosi di quelli precedentemente previsti. Le leggi di incentivazione economica presentano, infatti, una connotazione sostanzialmente contrattuale, in quanto danno luogo ad un rapporto sinallagmatico e paritario tra Stato e privati, che, in quanto suscettibile di generare un assetto stabile degli interessi in gioco, impedisce ai “contraenti” di modificare il rapporto stesso in maniera unilaterale... (segue)



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