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NUMERO 18 - 27/09/2017

 Dialogo tra le Corti, tutela dei diritti fondamentali ed evoluzione del linguaggio costituzionale

Il linguaggio della Costituzione è attraversato da un moto incessante e va perciò soggetto a mai finito rinnovamento. La Costituzione d’altronde – lo rileva da tempo una sensibile dottrina – è, in sé e per sé, un processo, ancora prima (o piuttosto) che un atto, è cioè un fieri e non un esse, o meglio è nel suo divenire. È ovvio che plurimi e variamente combinati tra di loro possono essere, ed effettivamente sono, i fattori di contesto (nella sua più larga accezione) idonei a concorrere alla rigenerazione semantica degli enunciati e, prima ancora, a portare alla formazione di nuove parole, le quali poi docilmente si dispongono a farsi variamente intendere nelle loro proiezioni spazio-temporali. Semplificando al massimo, l’aggiornamento del linguaggio costituzionale può aver luogo essenzialmente in due modi: per via di innovazione normativa con le procedure allo scopo dalla stessa Carta stabilite e per via d’interpretazione. Lungo la prima si dispongono in primo luogo gli atti di revisione, adottati a norma dell’art. 138, ai quali possono nondimeno affiancarsi anche altri atti o fatti di normazione cui sia riconosciuta forza “paracostituzionale” (o costituzionale tout court). Sta di fatto, però, che anche tali strumenti positivi soggiacciono naturalmente ad interpretazione, di modo che è pur sempre sul terreno sul quale maturano le esperienze di quest’ultima che continuità ovvero discontinuità di linguaggio possono essere compiutamente apprezzate. I problemi del linguaggio sono, dunque, problemi d’interpretazione, scivolano al piano in cui questi ultimi si dispongono e in essi interamente si convertono e risolvono. Va subito fatta, prima di passare a dire del tema che mi è stato assegnato, un’avvertenza, cui giova a mia opinione prestare una particolare attenzione; ed è che gli enunciati costituzionali non si evolvono (e, perciò, non si interpretano) tutti allo stesso modo. È frutto di una palese approssimazione ed eccessiva semplificazione teorica ragionare – come sovente si fa – di una “interpretazione costituzionale” al singolare, quasi che possa restare sempre uguale a se stessa, che sia appunto monotipica, a prescindere poi dalla vessata questione se si distingua, o no, dall’interpretazione delle leggi comuni o da altre specie d’interpretazione giuridica. In realtà, possono farsi molte differenze tra l’una e l’altra specie d’interpretazione costituzionale, sotto più aspetti. Per un verso, potrebbe distinguersi tra un’interpretazione delle regole ed una dei principi (e, segnatamente, dei principi fondamentali, restando comunque impregiudicata la questione, sulla quale non è qui possibile intrattenersi, se si diano in seno alla Carta altresì principi non fondamentali). Senza ora riprendere, neppure per essentialia, i termini della discussione a riguardo dei modi (e limiti) della loro complessiva e reciproca caratterizzazione, su due cose soltanto vorrei qui invitare a fermare l’attenzione. La prima è che regole e principi, da un canto, preesistono ai fatti interpretativi, perlomeno nel senso che l’operatore sa in partenza se il materiale normativo su cui riflette si situa nell’area in cui stanno le une ovvero le altre norme. Per quest’aspetto, l’autoqualificazione gioca un ruolo di prima grandezza; e così chi legge i primi dodici articoli della Carta è consapevole della natura degli enunciati oggetto di studio. L’autoqualificazione, nondimeno, c’insegna la giurisprudenza, non ha valore decisivo ma solo indiziario; e, dunque, salva la prova del contrario, presumiamo che i principi fondamentali della Costituzione siano tutti racchiusi negli articoli suddetti, e solo in essi. Attraverso, poi, l’ulteriore approfondimento dello studio si ha però conferma che anche fuori di essi possono rinvenirsi ulteriori principi (ad es., quello di legalità in materia penale), mentre è discutibile che formule presenti negli articoli stessi possano in realtà dimostrarsi inespressive di principi, sì da soggiacere a revisione, anche nella forma dell’abrogazione “secca”... (segue)



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