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NUMERO 21 - 08/11/2017

 Finanza pubblica e salvaguardia del patrimonio culturale privato: la disciplina fiscale dei parchi e dei giardini storici

La disamina del regime fiscale degli immobili storici muove, necessariamente, dalla ricostruzione dell’iter normativo che ha interessato la più ampia nozione di “bene culturale”. Tale locuzione – peraltro non ricompresa nell’originario disposto costituzionale - vale, invero, a descrivere un elevato numero di beni mobili ed immobili connotati dalla presenza di un interesse pubblico, tra cui, certamente, gli edifici, i parchi e i giardini storici. In argomento, per quanto di nostro interesse, si può richiamare, anzitutto, il disposto degli artt. 9, 117 e 118 Cost.. Com’è noto, il primo di questi articoli impone alla Repubblica di promuovere “lo sviluppo della cultura” e della “ricerca scientifica e tecnica”; e di tutelare “il paesaggio e il patrimonio culturale e artistico della nazione”, in tal modo rinsaldando il collegamento concettuale e funzionale tra questi beni. Il secondo determina le competenze in base alle quali assolvere a suddetti obblighi, sancendo una potestà normativa concorrente tra Stato e Regioni “per la valorizzazione dei beni culturali (e ambientali) e la promozione e organizzazione di attività culturali”; e affidando ai Comuni lo svolgimento delle relative funzioni amministrative. Il terzo assegna allo Stato il compito di disciplinare, con propri atti legislativi, “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”. Siffatte previsioni, pur elevando la richiamata tutela al rango di principio fondamentale, omettono, parimenti, di indicare il contenuto delle singole fattispecie che ne formano l’oggetto, peraltro, limitandosi a rinviare, implicitamente, alle definizioni offerte da altri settori dell’ordinamento giuridico nazionale. In questa prospettiva, non sembra, dunque, inopportuno rammentare a chi legge come un primo, timido, tentativo di regolamentazione del panorama artistico e culturale italiano si fosse, in realtà, registrato già molti anni prima dell’adozione della nostra Carta Costituzionale, ad opera della L. n 185/1902 (c.d. legge Nasi), la cui entrata in vigore segnò la fine della lunga stagione postunitaria dell’irrilevanza giuridica dei beni culturali, da cui tanti danni erano derivati all’integrità del nostro patrimonio culturale. A tale intervento diede seguito la L. n. 364/1909 (c.d. legge Rosadi), che ampliò l’ambito della tutela in esame, essenzialmente a motivo della sostituzione del generico concetto di “monumenti”, con un più specifico riferimento alle “cose mobili e immobili” aventi “interesse storico, archeologico, paleontologico o artistico”. Sia la Legge Nasi, sia la Legge Rosadi mancavano, tuttavia, di qualsiasi riferimento alle ville, ai parchi e ai giardini storici, di guisa che detti beni trovarono, espressamente, tutela ad esito di un lungo dibattito parlamentare culminato nell’emanazione della L. n. 688/1912. Fu poi la L. n. 1089/1939, (c.d. Legge Bottai) a specificare come i parchi e i giardini storici di proprietà pubblica acquisissero automaticamente lo status di bene “vincolato,” mentre quelli rimasti nella titolarità dei privati necessitavano dell’emanazione di un apposito provvedimento di vincolo. Un lungo iter normativo può riferirsi, anche, alla locuzione “beni culturali”, utilizzata, per la prima volta, nella Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, siglata all’Aja nel 1954; e penetrata nell’ordinamento italiano nella prima delle Dichiarazioni con cui si conclusero i lavori della Commissione d’indagine istituita dalla L. 26 aprile 1964, n. 310 (c.d. Commissione Franceschini). Siffatta nozione, che già in base all’art.148, co. 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n.112, valeva a ricomprendere qualsiasi manifestazione della cultura umana, ci viene oggi fornita dall’art. 2 del D. Lgs. n. 42/2004, recante il Codice dei Beni culturali e paesaggistici, secondo cui, sono “beni culturali”: a) le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11 dello stesso testo normativo, presentino un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico; e, b) le “altre cose” individuate dalla legge, o in base alla legge, “quali testimonianze aventi valore di civiltà”... (segue)



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